San Marino, accordo sulla Riforma IGR: il trionfo della “mancetta”: come barattare il benessere futuro offrendo un caffè ai lavoratori … di Enrico Lazzari

Si leva il sipario sul solito teatrino della politica sammarinese, dove ancora una volta è andata, sta andando in scena una commedia dal sapore amaro di una farsa. Mentre in Consiglio Grande e Generale si contano, con la solennità che si riserva ai momenti storici, emendamenti e articoli di una riforma IGR ormai ridotta a “nanetto”, mi vien da chiedermi cosa, a Palazzo – fra la reale o falsa soddisfazione di governo, maggioranza e sindacati (le opposizioni no, quelle hanno il no ormai tatuato sulla fronte) -,  si stia celebrando davvero. La pace sociale? La vittoria del popolo? O forse, più prosaicamente, il funerale di un’ambizione, sacrificata sull’altare del quieto vivere e di qualche spicciolo in meno di tasse per i lavoratori?

Enrico Lazzari

Partiamo dall’inizio, quando ancora si osava sognare. Sul tavolo c’era un progetto, forse imperfetto ma coraggioso, che mirava a rimpinguare le casse dello Stato con 20 milioni di euro di gettito strutturale in più, senza distruggere gli stipendi dei lavoratori chiamati a contribuire con qualche eurino mensile in più. Pochi, a dire il vero, soprattutto in rapporto con il sacrificio chiesto ad imprese e professionisti. Un’iniezione di liquidità vitale, destinata non a tappare i buchi di bilancio del giorno prima, ma a finanziare quella parola magica e ormai quasi mitologica: lo sviluppo. Di questi 20 milioni, circa 3,7 sarebbero arrivati da un contributo, diciamolo onestamente, modesto da parte dei lavoratori dipendenti. Un piccolo sacrificio collettivo per un obiettivo grande.

Apriti cielo. Le vestali del sindacato, custodi del sacro fuoco della busta paga, hanno immediatamente suonato le trombe dell’apocalisse. Sono spuntate tabelle da film dell’orrore, scenari da the day after fiscale, dove un onesto lavoratore si sarebbe ritrovato a mendicare per strada… Memorabile l’ipotesi della detrazione SMAC azzerata: una previsione talmente pessimistica da sfiorare il ridicolo, visto che persino il più ascetico degli anacoreti, a San Marino, quei 1.500 euro di spesa annua in carburante li raggiunge quasi senza accorgersene. E non consideriamo le bollette di casa… Propaganda, certo. Ma la propaganda, si sa, funziona meglio della verità, specie quando la pancia brontola più forte della testa; specie quando il massimo organo di informazione sono i “meme” social e non la razionalità o l’analisi sensata.

E il Governo? La falange macedone che doveva marciare compatta verso il risanamento? Si è scoperta fragile, corrosa dal fuoco amico. Dai banchi della stessa maggioranza, specie da quelli di Libera, si sono levate voci critiche, distinguo, distinguo sui distinguo. Un logorio costante che ha trasformato un progetto di riforma in un colabrodo. E così, fiutando l’aria di una tempesta che sarebbe potuta diventare uragano, l’Esecutivo ha fatto quello che in questi casi non si dovrebbe mai fare, ma alla fine si fa sempre: ha calato le braghe.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti, certificato dallo stesso Segretario alle Finanze Gatti: l’accordo al ribasso con i sindacati costa alle casse pubbliche almeno 3,5 milioni, forse quattro. Quattro milioni di euro in meno di gettito estra, strutturale e da destinare allo sviluppo. Quattro milioni sottratti a quel “gruzzoletto” che doveva essere il motore della ripartenza. Quattro milioni bruciati per placare gli animi e comprare un po’ di tregua.

E qui sorge la domanda, quella che nessuno sembra volersi fare ad alta voce: ne è valsa la pena? Siamo davvero convinti che un lavoratore con uno stipendio netto di 1.700 o 1.800 euro al mese avrebbe preferito tenersi in tasca quel misero gruzzoletto  mensile o avrebbe volentieri rinunciato alla “mancetta”? O forse, se ben informato, avrebbe volentieri barattato una cenetta al ristorante al mese con la prospettiva di un Paese che investe nel futuro per crescere, per creare opportunità e sviluppo? Certo, sacrosanto tutelare i redditi più bassi, ma qui si è fatta una battaglia di retroguardia su “quattro spicci” di incremento fiscale, che si sarebbero limitati a ciò solo dando linfa alla spesa interna, attraverso il meccanismo Smac. A mio parere, senza “terrorismo” comunicativo, ogni lavoratore sammarinese avrebbe capito benissimo che il suo benessere futuro non dipende da un caffè gratis al giorno, ma da un’economia che gira.

Lo sviluppo non è un concetto astratto. Sviluppo significa imprese che assumono, aumenti del gettito fiscale, e quindi strade migliori, servizi più efficienti, tesoretti… Sviluppo significa generare ricchezza che, un domani, permette di abbassare le tasse per tutti, di finanziare una sanità e una pensione solide, di ridurre quel debito pubblico mostruoso i cui interessi, ogni anno, costano decine di milioni. Senza sviluppo, con il fardello del debito miliardario, la strada è una sola: il declino. Lento, inesorabile, ma certo.

Oggi, nell’Aula del Consiglio, si vota. Si ratifica un compromesso al ribasso che sa di resa. Il Governo, con la sua maggioranza, è convinto di aver salvato la faccia e i consensi, i sindacati possono cantare vittoria e giustificare il costo della tessera, e qualche lavoratore si troverà una “mancetta” in più a fine mese. Tutti contenti! Ma c’è davvero da esser contenti?

In ogni caso, mentre si brinda a questa pace fragile e costosa, nessuno sembra accorgersi che, forse, si è appena svenduto un altro pezzo di futuro. E a prezzo di saldo, per giunta. Applausi.

Enrico Lazzari