San Marino. Afghanistan, questo dolore immenso … di Alberto Forcellini

Tra i temi che urlano oggi, la situazione in Afghanistan è sicuramente quello più inquietante. Dopo 20 anni dall’11 settembre, siamo di nuovo alle minacce di terrorismo internazionale. Morti e feriti all’aeroporto di Kabul a causa di due attentati suicida, è solo uno degli elementi che compongono questo puzzle difficilissimo da comporre in tutta la sua complessità

Cosa è successo. Le forze NATO si sono ritirate, l’esercito regolare si è disfatto, nessuna alleanza straniera è intervenuta con nuove missioni di peacekeeping. Dopo un’offensiva militare che ha portato alla rapida caduta di tante e importanti città del paese mediorientale, domenica 15 agosto i Talebani hanno preso la capitale dell’Afghanistan, Kabul, cacciando il governo precedentemente in carica, imponendo la propria autorità sulla nazione e proclamando la nascita di un Emirato, in cui a capo del governo è un “emiro”, generalmente un capo militare. Nel caso specifico dei talebani, ci si richiama direttamente al governo del 1996.

Su cosa riflettere. Prima di tutto, una guerra non combattuta. L’avanzata dei Talebani è stata una sorta di marcia trionfale fino a Kabul, nonostante avessero un esercito tre volte inferiore rispetto a quello afghano, formato e armato in questi 20 anni dalle forze Nato. Un presidente fuggito con quattro container di soldi, si dice oltre 180 milioni di dollari, che non stavano neppure nell’aereo e che in parte sono stati lasciati nell’aeroporto. La gestione fallimentare del ritiro delle forze Nato, quando già da giugno era stata fatta l’ammaina bandiera. Un’economia afghana basata quasi prevalentemente sul commercio di eroina e di oppio. Uno stato sociale inesistente. La comunità internazionale che ancora non ha deciso cosa vuole fare.

La minaccia dell’ISIS e dell’ISIS – K, gruppi terroristici affiliati allo Stato Islamico. L’Isis ha uno scopo, ha la capacità, se lo desidera, di attaccare quando vuole. L’ISIS-K, chiamato anche “Provincia del Khorasan dello Stato Islamico”, fu fondato sei anni fa da talebani pakistani delusi dal loro gruppo, e da allora ha compiuto decine di attentati terroristici in Afghanistan. I suoi membri, così come le altre divisioni dello Stato Islamico, sono nemici sia dei talebani che di al Qaida, organizzazione terroristica che non ha mai interrotto i suoi rapporti con i Talebani e che ora potrebbe sfruttare la nuova situazione nel paese per riorganizzarsi e rafforzarsi. I leader dell’ISIS-K hanno già criticato il nuovo regime talebano: soprattutto la sua interpretazione dell’Islam, definendola troppo moderata. Infatti, sia i Talebani, sia l’ISIS vogliono costruire uno stato islamico, tuttavia mentre i Talebani non hanno mire egemoniche (a loro interessa solo l’Afghanistan), l’ISIS vuole uno Stato islamico universale.

I rifugiati evacuati finora dall’Afghanistan da Usa, Regno Unito e altri Paesi, Italia compresa, dopo la presa di Kabul da parte dei Talebani, sono circa 100 mila, ma mancherebbero altre 300mila persone considerate a rischio, solo contando gli ex collaboratori afghani della missione Nato, esclusi gli stranieri.

La condizione delle donne. La guerra, almeno nelle dichiarazioni, è stata combattuta anche in nome dei diritti femminili. Ma oggi l’Afghanistan resta il Paese più maschilista del mondo. E con il ritiro degli occidentali torna la paura, non solo dei Talebani. Se in questi anni i militari delle forze alleate hanno contribuito alla costruzione di strade, ospedali e scuole, restano non pochi interrogativi sul raggiungimento degli obiettivi della missione, quelli più volte ripetuti da tutte le forze politiche in campo: portare stabilità, garantire i diritti umani e liberare le donne dalla condizione di sottomissione in cui versavano sotto il regime talebano. Vent’anni dopo, la missione in Afghanistan è finita. Ma ora c’è da capire cosa resterà davvero di questa guerra. E il primo dato è che le donne verranno abbandonate al loro destino. Cioè alla legge della sharia: schiave senz’anima.

Cosa si può fare. Frustrazione e impotenza sono i sentimenti più frequenti. Se non ce la fanno le grandi organizzazioni internazionale, gli Stati più potenti della terra, cosa possiamo fare noi semplici, inermi, cittadini? Il suggerimento viene dalle donne e dagli uomini che si sono riuniti sul Pianello su invito dell’UDS: testimoniare per sensibilizzare e per tenere alta un’attenzione che si rifletta nella comunità internazionale. Ma dal punto di vista pratico si possono fare molte cose, che non avranno clamore mediatico, eppure con un riscontro concreto importante. Tra queste, partecipare alla raccolta fondi da destinare ad associazioni impegnate in prima persona direttamente sul luogo, come Pangea e CISDA, per aiutare concretamente donne e bambine afghane. UDS organizzerà alcuni eventi con questo preciso scopo, di cui darà puntuale informazione.

Il primo banchetto di UDS sarà presso l’evento: La Festa della Musica di San Marino, Campo Bruno Reffi – San Marino Città, mercoledì 1 settembre 2021, dalle ore 19:00 alle ore 22:00. Ad ogni donazione di minimo 10 euro, verrà donato il foulard della solidarietà.

Altre catene di solidarietà sono sorte spontaneamente offrendo ospitalità alle donne, agli orfani, alle vedove. Oppure raccogliendo abiti per adulti e bambini rifugiati, che sono arrivati solo con i panni che avevano addosso. Sono stati messi a disposizione giochi, passeggini, alimenti.

Piccoli gesti, ma capaci di contrastare quello che altri uomini stanno facendo in Afghanistan, ma anche in altri Paesi dove, invece di aiutare i fuggitivi, stanno erigendo muri e filo spinato lungo i loro confini.

a/f