Nel 2022 era arrivata la condanna in primo grado dell’insegnante della scuola media di Serravalle Pier Paolo Ciavatta per una vicenda che per anni ha scosso l’ambiente scolastico sammarinese.
Il Tribunale aveva giudicato colpevole l’insegnante della Scuola Media di Serravalle, imputato per aver compiuto atti molesti nei confronti di alcune studentesse minorenni durante le lezioni.
La sentenza, emessa il 5 settembre 2022 a Borgo Maggiore, parla chiaro: due anni di prigionia, con sospensione condizionale per quattro anni e beneficio della non menzione nel casellario. A questa pena si aggiunge l’interdizione dall’insegnamento per cinque anni, che lo priva di fatto della possibilità di esercitare la professione.
STA INSEGNANDO ORA? E’ STATO MAI SOSPESO DAL SUO LAVORO?
Secondo quanto ricostruito nel dibattimento, il docente avrebbe approfittato delle lezioni per instaurare contatti fisici inopportuni con le alunne. Non si tratta di semplici gesti fraintesi, come sostenuto dalla difesa, ma di episodi precisi:
- un morso all’orecchio di una studentessa, durante una spiegazione al banco;
- toccamenti al seno mentre “aiutava” altre ragazze nel corso delle sue lezioni.
Tre episodi distinti, accomunati dalla stessa modalità: l’uso dell’attività didattica come pretesto per superare i limiti della relazione docente–alunna e compiere atti invasivi e indesiderati.
Il caso esplode nel 2018, quando dalle aule della scuola partono le prime segnalazioni. Le lamentele dei genitori e le preoccupazioni del dirigente scolastico arrivano fino al Tribunale, che apre un fascicolo per violazione della libertà sessuale.
Le indagini si svolgono in regime di segretezza: le studentesse vengono ascoltate in audizione protetta, con registrazioni audio-video. Vengono escussi anche compagni di classe, insegnanti e genitori. Nel 2019 arriva il decreto di citazione a giudizio e inizia un processo che si svolgerà interamente a porte chiuse, nel massimo riserbo, fino alla conclusione del 2022.
Il Procuratore del Fisco aveva chiesto una condanna a due anni e sei mesi, con interdizione dai pubblici uffici. La difesa aveva insistito per l’assoluzione, parlando di “contatti didattici” fraintesi. Ma il giudice non ha creduto a questa ricostruzione: le testimonianze delle ragazze sono state ritenute coerenti, credibili e convergenti.
Per il giudice Morsiani non ci sono dubbi: i gesti dell’insegnante non erano né casuali né funzionali alla didattica. Al contrario, rappresentavano atti libidinosi, compiuti approfittando della posizione di autorità in un contesto – quello della scuola – che avrebbe dovuto garantire protezione e sicurezza.
Ecco perché la condanna è stata pronunciata per violazione della libertà sessuale (art. 171 c.p.), con una pena principale di due anni di prigionia. Alla sanzione si accompagna l’interdizione dall’insegnamento per cinque anni, che impedisce all’imputato di insegnare in qualsiasi scuola, pubblica o privata, o di assumere incarichi di docenza o supplenza.
È importante sottolinearlo: dalla sentenza non emerge che vi sia mai stata una sospensione cautelare dal servizio durante le indagini o prima della condanna. L’uomo avrebbe quindi mantenuto formalmente la sua posizione fino alla sentenza. Soltanto con la decisione del 2022 è scattata l’interdizione, misura che ha effetti concreti e immediati sulla sua carriera, ma solo fino al 2027.
Infine, il Tribunale ha disposto il risarcimento dei danni in favore dell’Authority per le Pari Opportunità, costituita parte civile, con una provvisionale immediata di 1.000 euro, oltre al pagamento delle spese processuali.
Questa condanna segna un precedente pesante per la scuola sammarinese. Non solo perché ribadisce che atti del genere non possono essere derubricati a “malintesi didattici”, ma perché riafferma con forza il principio che la tutela dei minori viene prima di tutto.
La scuola è il luogo che deve garantire fiducia, formazione e sicurezza. Ogni tradimento di questo patto sociale ha conseguenze che vanno oltre i singoli episodi: colpisce la credibilità dell’istituzione scolastica e del paese.
La giustizia, con questa decisione, ha voluto ribadire che non ci può essere ambiguità: la violenza sessuale, anche se travestita da gesto apparentemente innocuo, resta un reato grave!
Ma aveva avuto protezioni politiche? il dubbio rimane.
/ms