L’apprezzamento del Premier Draghi sul percorso fatto da San Marino in termini di trasparenza lotta al riciclaggio e la sua attuale percezione dall’esterno di non essere più un Paese offshore ci lasciano solo una amara riflessione.
Quanto poteva essere evitato di questo tribolato periodo, che San Marino ha attraversato negli ultimi 14 anni, se da parte italiana ci fosse stata una esatta attività di recepimento e introduzione nei rapporti con San Marino della normativa antiriciclaggio introdotta da una Direttiva UE n. 60 del 2005?
Solo nel novembre del 2007 l’Italia emanò il famoso dlgs 231, cioè l’ancora attuale norma antiriciclaggio, e solo successivamente all’estate del 2008, dopo il sequestro del furgone portavalori diretto verso san Marino, la Banca d’Italia corse ai ripari per celare i propri ritardi ed emanò una serie di circolari di interpretazione postuma (arrampicandosi sugli specchi) di come si doveva comportare il sistema bancario italiano nei confronti di quello sammarinese.
Adattando le proprie direttive alle teorie del p.m. di Forlì e, soprattutto, costituendosi parte civile lesa nei processi forlivesi contro Asset Banca e Cassa di Risparmio.
Ci saremmo aspettati un ragionamento diverso dal Premier, che allora era Governatore della Banca d’Italia: meno professorale e con maggior assunzione di responsabilità per i ritardi oggettivi che, se non ci fossero stati, avrebbero consentito a san Marino di non precipitare dove è precipitata.
Quindi, per chi ha poca memoria, sarebbe opportuno non accontentarsi di una pacca sulla spalla come la frase di ieri.
Meglio sarebbe una presa d’atto di come è stata male gestita l’introduzione della Direttiva UE nei rapporti tra San Marino e Italia.
L’Ordinanza del Tribunale di Forlì del dicembre scorso lo testimonia e dovrebbe avere aperto gli occhi a tutti.
Un lettore