La politica del fair play, o il fair play della politica? Purtroppo viviamo in un’epoca in cui le antiche nozioni di fair play e di una condotta galante sono morte e sepolte non solo nelle relazioni tra i sessi, ma in ogni altro ambito.
Di solito, i politici si ricordano del rispetto delle regole del gioco e del valore etico di un comportamento leale quando scoppiano gli scandali. Allora sì che si riscoprono nudi davanti alla tempesta, ma nella quotidianità spesso non si ricordano (o fanno finta di non ricordare) quanto è successo qualche giorno prima.
Le regole del rispetto dell’altro, soprattutto se avversario, vanno osservate in Consiglio, nei dibattiti e anche nella comunicazione. Soprattutto quando un’altra forza politica si trova di fronte alle difficoltà.
Tutte cose che Matteo Ciacci dimostra di non considerare affatto quando, a botta ancora calda, commenta criticamente le traversie interne di un partito avversario. Dimenticando che era stato lui stesso leader di un movimento dove le fuoriuscite sono avvenute in piena campagna elettorale, che la nuova formazione politica messa in piedi per quella bisogna si è subito spaccata in due tronconi, e che altre fuoriuscite ci sono state appena la nuova alleanza si è insediata in Consiglio. Lui sa molto bene che, giornalisticamente parlando, un problema nella maggioranza ha molto più risalto che un problema nell’opposizione. Quindi, non gli pare vero di fare speculazione.
Subito dopo, rincara la dose quando afferma che lo Sputnik e la campagna vaccinale hanno avuto successo grazie a Libera, dimenticando quando i suoi si stracciavano la camicia perché non era riconosciuto EMA e che il governo avrebbe dovuto assumersi tutte le responsabilità per questo fatto. E oggi, che le situazioni geopolitiche non sono cambiate, se ci sono ritardi nel green pass è colpa del governo inetto e fanfarone, che non risponde alle domande di Libera.
Come si chiama questo modo di agire: fare una buona politica, fare sciacallaggio mediatico, o insultare l’intelligenza dei cittadini?
La politica non è fatta solo di intrighi, litigi, accordi sotto banco, speculazioni da bassa cucina, discussioni infinite, spesso senza risultato. Aspetti che, se dovessero diventare preponderanti, porterebbero il Paese all’impoverimento e al disamore della gente verso la politica. Purtroppo, la coerenza e l’onestà intellettuale sono spesso mero esercizio retorico. Talvolta neanche quello, e non si tiene nella giusta considerazione che la grandezza e la miseria della politica si misurano sulla sottile differenza tra ciò che è giusto, ciò che è lecito e ciò che è moralmente e intellettualmente deprecabile.
Nel calcio, o in altri sport, è possibile che un campione faccia la differenza, mentre il resto della squadra potrebbe risultare sbilanciato. Se la politica di oggi fosse basata sul gioco di squadra, fosse meno gridata, più ragionata e meno concentrata sulla demolizione degli altri, probabilmente il Paese, i cittadini e le stesse istituzioni, ne trarrebbero giovamento. Ciacci è ancora molto giovane e forse gli manca un po’ di esperienza: questo commenta la gente quando si imbatte nelle sue posizioni.
Alcuni anni or sono, in occasione di una scadenza elettorale, un celebre giornalista italiano invitò i propri lettori a turarsi il naso e a compiere il proprio dovere di cittadini, recandosi a votare per il partito allora al potere.
Non è sorprendente. In effetti il ragionamento di quel giornalista faceva leva su uno dei riflessi condizionati più facilmente riscontrabile anche a livello sociale: quello che sia la scelta del male minore a guidare le decisioni quotidiane della maggior parte delle persone. Messo di fronte ai fatti della vita, il buon senso comune è sempre quello che dovrebbe condurci nelle scelte.
In parole semplici: una piccola guerra è meglio di una grande guerra. Anche dentro il complesso mondo della politica. Ma lo sanno davvero tutti?
a/f