Finirà in pareggio? Con un classico uno a uno e, la possibilità, di tempi supplementari sul campo neutro di Strasburgo? No, non parlo del prossimo impegno della Nazionale di calcio biancazzurra, ma parlo del Processo Mazzini, oggi alla ribalta delle cronache per le arringhe dei difensori nel suo secondo e definitivo, sul Titano, secondo grado di giudizio.
Quel che è certo -anche alla luce della notizia del terzo rinvio a giudizio per il giudice che ha istruito l’intero processo, Alberto Buriani, con fra gli altri il supporto del Commissario della Legge Antonella Volpinari, anche lei (si legge nelle cronache) rinviata a giudizio con l’accusa di “falsità ideologica in atti pubblici e abuso di autorità”… Quel che è certo -si diceva- è che qualunque sarà la sentenza del secondo grado, che sia essa di condanna o di assoluzione, non avrà la minima parvenza -e va ribadito parvenza- di credibilità. Se ci saranno assoluzioni, queste verranno intese da metà della popolazione sammarinese come assoluzioni politiche che si è deciso arrivassero; se ci saranno condanne, queste verranno intese dall’altra metà di popolazione sammarinese come condanne politiche che si è deciso arrivassero.
Poi ci sarebbe la possibilità del “pareggio”: la prescrizione, che farebbe comodo a tutti ad eccezione degli imputati. Sarebbe, però, questa conclusione, il modo di nascondere la “polvere sotto al tappeto”.
Ho seguito con attenzione la cosiddetta “Titanopoli” fin dalle sue prime fasi e ne ho ricostruito le singole udienze e le relative evidenti incongruenze ogni giorno, sull’oggi scomparso quotidiano “La Voce”. Fin dal primo grado si evidenziarono assurdità giuridiche come, per citarne una, l’unica imputata donna rinviata a giudizio per un capo di imputazione solo perchè -lo ammise lo stesso inquirente dal banco dei testimoni- forse ci si dimenticò di depennare il suo nome dal fascicolo. E ancor prima, una madre vedova, con a carico un figlio di appena 14 anni, subì interminabili mesi di custodia cautelare che, fin da allora, a me parve assurda sia nel merito giuridico che in quello etico di uno stato di diritto. Ma tant’è, non sono un giurista e giuristi veri la pensarono in modo diverso da me…
Ma torniamo ai giorni nostri, all’attualità giudiziaria, ovvero al secondo grado del processo Mazzini caratterizzato dalle arringhe dei difensori e le relative richieste di assoluzione per i loro imputati. Colpiscono soprattutto due disquisizioni: quelle degli avvocati Luigi Stortoni e Stefano Pagliai, i quali -seppure in maniera non palese- sono andati oltre ponendosi e ponendo al Giudice la domanda che tutti, oggi, dopo le vicissitudini anche giudiziarie che interessano coloro che hanno istruito quel processo, dovrebbero porsi. L’accusa nei confronti degli imputati è stata una accusa genuina o non genuina?
Gli elementi per sospettare della loro genuinità non mancano nei decreti di rinvio a giudizio della “toga” Buriani, nelle conclusioni della Commissione di Inchiesta parlamentare approvata all’unanimità, nella denuncia depositata dal vertice di Banca Centrale, nella denuncia presentata dai vertici di Asset Banca e, ieri, nell’atto giudiziario che avrebbe portato ad altri due rinvii a giudizio di altrettante “toghe” eccellenti con ipotesi di accusa gravissime… E, aggiungo io, per ciò che ha lasciato me perplesso, alcune fasi dell’istruttoria e del dibattimento di primo grado di giudizio, compresi controversi passaggi delle motivazioni della sentenza di primo grado… Ma io, vi ricordo, non sono un giurista…
Certo, eccezion fatta per le mie “sensazioni”, l’inquietudine, i dubbi provengono da vicende diverse dal Processo Mazzini. Ma se esiste il dubbio supportato da elementi e atti che ci possa essere stata una sorta di asservilismo a poteri o soggetti esterni alla giustizia della funzione giudiziaria su una o più vicende diverse, come non avere lo stesso sospetto sulle altre indagini e processi condotti dagli stessi commissari, come ad esempio il Mazzini?
I difensori degli imputati non possono fare altro che porre delle domande, come hanno egregiamente fatto Stortoni e Pagliai. Ma le domande a questi velenosi, inquietanti dubbi deve darle l’ordinamento, perchè un sistema giudiziario non può sopravvivere, nella sua autorevolezza, a simili ombre che alimentano il sospetto di iniziative giudiziarie, compresa l’eclatante “Titanopoli”, eterodirette da qualcuno esterno al Tribunale e alla Giustizia.
Un ordinamento serio, nel momento in cui si va a chiudere il più grande processo della storia, non può risolvere un periodo storico nascondendo la polvere sotto il tappeto ed emettendo una sentenza, in un senso o nell’altro, priva di ogni parvenza di credibilità.
Lo sostenevo un tempo, quando i vinti di oggi andavano con il vento in poppa, lo ribadisco oggi quando è più facile farlo visto il più grande, forse il primo, scandalo che investe le toghe della storia sammarinese e che poteva essere evitato facendo chiarezza a suo tempo. Non ci possono essere ombre su chi amministra la giustizia perchè queste ombre, poi, irrimediabilmente, si proiettano sulla Giustizia stessa… E la offuscano, come è oggi, compromettendola nella sua essenza, mostrandola incapace di distinguere i “buoni” dai “cattivi”, le “vittime” dai “carnefici”. Come se si ripetesse una storia già vissuta ben 2.021 anni fa… Ma almeno, quella volta, non esisteva la “scappatoia” della, oggi comoda, prescrizione…
Enrico Lazzari
Giudice di appello penale Prof. Caprioli