Un accordo che rischia di costare più di quanto possa rendere
Mentre il Segretario Beccari continua a descrivere l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea come un passo “strategico” e “storico”, la realtà economica che si delinea è molto diversa: i costi saranno altissimi, i vantaggi quasi inesistenti.
Dietro lo slogan “più Europa, più opportunità”, si nasconde un meccanismo di adeguamento normativo e fiscale che rischia di soffocare le imprese sammarinesi sotto una montagna di nuovi obblighi, regolamenti e controlli.
Ogni settore – dall’industria ai servizi, dal commercio alla finanza – sarà costretto a ristrutturarsi per rispettare regole pensate per economie da centinaia di milioni di abitanti, non per un microstato di 33.000 persone.
Il risultato sarà inevitabile: più burocrazia, più costi di gestione, meno competitività.

Un impatto devastante sulle piccole e medie imprese
San Marino è un Paese fondato sul lavoro delle PMI: oltre l’80% delle aziende ha meno di 10 dipendenti. Sono realtà che sopravvivono grazie alla flessibilità, all’assenza di vincoli e alla rapidità decisionale.
Con l’entrata in vigore dell’Accordo di Associazione, queste imprese dovranno invece affrontare:
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standard europei di produzione e di certificazione spesso inutili per il mercato locale;
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nuove regole doganali e ambientali con costi aggiuntivi per consulenze, adeguamenti e controlli;
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obblighi contabili e fiscali armonizzati che elimineranno i margini di flessibilità oggi garantiti dal sistema sammarinese;
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competizione diretta con aziende europee che beneficiano di economie di scala e finanziamenti pubblici inarrivabili per noi.
In questo scenario, le nostre imprese non potranno reggere. Molte saranno costrette a chiudere o a ridimensionarsi drasticamente.
Non è pessimismo: è aritmetica economica.
Quando un’azienda di tre persone si trova a competere con un colosso da tremila, non serve un economista per capire chi vince.
Occupazione a rischio e ricadute sociali
Ogni chiusura aziendale significa posti di lavoro persi, famiglie in difficoltà, minori entrate fiscali per lo Stato e maggiore disoccupazione.
In un sistema piccolo come il nostro, anche venti o trenta aziende che chiudono possono creare uno shock economico di vasta portata.
L’effetto domino sarà rapido:
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calo dei consumi interni,
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contrazione della domanda,
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fuga dei giovani più qualificati all’estero,
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aumento della precarietà e del lavoro stagionale.
L’accordo, che viene presentato come strumento di modernizzazione, rischia di diventare un acceleratore di declino economico e sociale.
Il peso della burocrazia e dell’apparato pubblico
Un’altra questione che il governo finge di ignorare è l’impatto sul settore pubblico.
Per recepire le direttive europee, serviranno nuovi uffici, consulenti, traduttori, controllori, ispettori e una burocrazia permanente di supporto.
In un Paese dove già oggi la macchina amministrativa è sovradimensionata rispetto alla popolazione, questo significherà ulteriori spese correnti e un aumento inevitabile della pressione fiscale per coprire i costi dell’allineamento.
E mentre le imprese chiuderanno per mancanza di competitività, lo Stato si troverà costretto a tassare sempre di più chi rimane in piedi. È un circolo vizioso: più Europa, meno libertà, meno lavoro, più tasse.
L’illusione del progresso e la realtà dei numeri
Secondo alcune stime indipendenti, il valore complessivo dei potenziali benefici commerciali derivanti dall’accordo non supererebbe il 2-3% del PIL annuo, mentre i costi diretti e indiretti di adeguamento normativo potrebbero superare, nel medio periodo, il 5-6% del PIL.
Tradotto: per ogni euro guadagnato, ne spenderemo due.
Ecco perché parlare di “opportunità storica” è quantomeno offensivo verso chi ogni giorno manda avanti un’impresa, paga stipendi, combatte contro i costi dell’energia e la concorrenza globale.
Questa non è un’integrazione virtuosa: è una cessione economica mascherata da progresso.
Un errore che si paga caro
L’Accordo di Associazione UE non è un piano di sviluppo, ma un trattato di resa economica.
Con la scusa della competitività, si stanno gettando le basi per la deindustrializzazione di San Marino e la perdita del controllo sulle leve economiche interne.
Una volta firmato, non si tornerà indietro: ogni legge, ogni norma, ogni direttiva europea diventerà obbligatoria, e nessuna potrà essere rifiutata senza mettere a rischio l’intero accordo.
Siamo ancora in tempo per fermarci, riflettere e pretendere chiarezza.
Perché un Paese piccolo come il nostro non può permettersi di sbagliare direzione: una scelta sbagliata, per noi, non si corregge, si paga per sempre.
Marco Severini – direttore GiornaleSM
La terza parte