San Marino. Associazione europea: l’obiettivo del 2023 convince anche gli euroscettici. Quasi … di Alberto Forcellini

Antonio Onofri, ottocentesco padre di questa piccola repubblica arrampicata sul monte Titano, aveva un motto che era una specie di bandiera della neutralità appartata: “Noti a noi, ignoti agli altri”. San Marino l’ha un po’ tradito. I tempi sono cambiati, anche se per cambiare, in questa cornice medievale un po’ vera un po’ di cartapesta, i tempi hanno aspettato diciassette secoli.

Erano cominciati a cambiare già nel 1975, in piena guerra fredda, quando San Marino fu uno dei 36 Paesi firmatari dell’Atto Finale di Helsinki. E ancor di più erano cambiati nel 1992 (il muro di Berlino era caduto nell’89) quando si spalancarono le porte del Parlamento mondiale e San Marin entrò a far parte dell’ONU.

Ma l’Europa Unita è sempre stata una sorta d tabù. Se n’è parlato inutilmente e inefficacemente per 30 anni, sempre condizionati dall’egoistico timore di perdere l’identità statuale, ma soprattutto, quella sovranità che, specialmente in quegli anni, veniva esercitata al limite di tutte le norme internazionali.

Se già da allora San Marino avesse dato seguito al percorso di internazionalizzazione appena iniziato e non fosse rimasta bloccata ai suoi tre capisaldi statuali, forse si sarebbe evitata la black list, l’indagine Varano (costata 1 miliardo e 200 milioni), re nero, la fallimentare piazza finanziaria, il caso targhe e compagnia cantante. E forse anche la “cricca” avrebbe avuto minori possibilità di estendere i suoi tentacoli.

Ma è proprio negli anni bui della crisi che San Marino ha cominciato il suo lento percorso verso l’Europa: gli accordi sulla doppia imposizione fiscale, le norme per uscire dalla black list, la recentissima riforma giudiziaria di taglio internazionale e tante altre difficili conquiste.

C’è tutto un substrato di atti, di iniziative legislative e di trattative diplomatiche che, subito dopo la pandemia, ha permesso l’accelerazione del percorso verso Bruxelles. Un’illustrazione finalmente importante e finalmente più esaustiva dal punto di vista dei contenuti e non solo del metodo, è venuta ieri in Consiglio con il riferimento del Segretario Beccari e il conseguente dibattito politico.

Innanzi tutto il chiarimento: l’associazione non è un’adesione, quindi non ci saranno gli obblighi degli Stati membri, che un piccolo Paese non riuscirebbe mai a sostenere né dal punto di vista economico, né dal punto di vista delle risorse umane. Ci sarà invece una sorta di riconoscimento formale dell’appartenenza di San Marino all’Europa, al suo mercato interno e a tutte quelle prerogative a cui si potrà accedere dal punto di vista economico finanziario, culturale, scolastico, sanitario.

Sugli scogli più grossi da superare come le famose quattro libertà (libera circolazione delle merci, delle persone, di prestazione dei servizi e di circolazione dei capitali, liberalizzazione dei pagamenti) si è aperta una trattativa per adattamenti temporanei. Esempio, impossibile per San Marino accettare la libera circolazione delle persone, ma si può trovare una mediazione numerica su quante persone straniere poter accogliere ogni anno e poi rivedere l’accordo cammin facendo. I sammarinesi però avranno libero accesso in tutti gli Stati UE.

I dettagli precisi non sono ancora noti, ma potrebbe essere questo lo schema anche per le banche e lo stabilimento di imprese. Importante sarebbe (usiamo il condizionale a ragion veduta) mantenere un legame informativo con i cittadini (la volgarizzazione, come l’ha chiamata Renzi, non si sa se in senso positivo o negativo). Molti non hanno dimenticato infatti il referendum del 2013, dove hanno vinto i no. Ma lì si parlava espressamente di adesione. Oggi le situazioni sono profondamente cambiate e perfino i partiti euroscettici hanno maturato la consapevolezza che anche un’Europa imperfetta (qual è quella attuale) è senza dubbio migliore di un’apartheid europeista. Insomma, San Marino non può permettersi di rimanere un corpo estraneo dentro una regione continentale dove si decide lo sviluppo, ma anche le dinamiche di sopravvivenza nelle crisi. Esempio: c’è ancora chi è convinto che se San Marino non avesse aderito alle sanzioni contro la Russia, il gas siberiano sarebbe arrivato tranquillamente sul Titano. Non dice però da quale impianto sarebbe stato trasferito, visto che non ci sono infrastrutture di importazione e che se ci fossero passerebbero comunque in territori altrui.

Le forze politiche, in Consiglio, hanno più elementi di confronto e di discussione grazie alle sessioni della Commissione Esteri. Alcuni interventi sono stati illuminanti perché hanno portato tesi e contenuti su cui ciascuno può innestare il proprio ragionamento. Altri sono stati infarciti di banalità e luoghi comuni, ma ormai non ci stupiamo più di tanto. L’importante è coglierne la differenza.

Il dato positivo è che il comma sull’Europa ha aperto una finestra di consapevolezza su una scelta politica che non è solo tattica, che non tratta una transizione di corto respiro, ma dovrà avere il passo lungo delle scelte epocali, quelle che condizioneranno la postura politica, economica e sociale di una Repubblica millenaria. Non illudiamoci che nel 2023, quando il percorso di associazione verrà formalizzato, si vedrà un effetto tipo bacchetta magica. Le vere conseguenze si vedranno con l’accettazione da parte di tutti i membri UE e con tutti i passaggi riformisti a cui, nel frattempo, San Marino dovrà provvedere. Ci sono molti chilometri da fare.

a/f