Non c’è altro termine per classificare la reazione alla richiesta della cittadinanza al diritto di espressione riguardo all’ accordo che il nostro stato si sta apprestando a siglare, accordo che, inutile ricordarlo, influenzerà pesantemente le nostre vite e quelle delle generazioni future.
Eppure chi si occupa di politica, dovrebbe avere la consapevolezza di non lasciarsi andare all’irrazionalità, poiché la paura, dove non motivata, è sentimento irrazionale.
Il politico capace è colui che, sentendo, in gergo “fiutando” l’animo della gente, il clima sociale che si respira, è capace di interpretare le situazioni per volgerle a proprio vantaggio.
Data la premessa, va da sé che, se l’accordo tra Europa e San Marino è “buono”, il politico non debba aver timore di un referendum poiché grazie alle capacità appena descritte non sarà per lui difficile farlo capire al popolo ricavandone egli stesso vantaggio e consenso; poiché se è vero che le persone sono riluttanti ai cambiamenti, di ogni genere, è pur vero che sono assolutamente in grado di capire vantaggi e svantaggi che deriveranno da questi cambiamenti.
Vista la reazione di gran parte della politica sammarinese alla richiesta di espressione della volontà popolare viene a questo punto da chiedersi se i nostri politici non si reputino all’altezza e in grado di illustrare alla cittadinanza il frutto di questi anni di trattative o, viceversa, se l’ accordo di associazione non contenga elementi di difficoltà, obblighi non detti, lati oscuri e difficilmente valutabili.
Quale sia la risposta non v è dubbio come sia ingiusto il tentativo di esautorare la cittadinanza del proprio diritto di esprimersi, cercando di disinnescare la richiesta di referendum additandolo come strumento non idoneo.
Già di suo, infatti, un referendum pone la garanzia del giudizio di ammissibilità del quesito che di per se è un giudizio di idoneità.
Come dimenticare poi che i cittadini di san marino hanno eliminato il requisito del Quorum e che, proprio facendo questo hanno chiesto alla politica maggiore coinvolgimento. Il senso politico di quel voto fu un messaggio netto di rafforzamento dell’ istituto referendario al quale veniva tolto il quorum, equiparandolo, in tal senso ad una normale tornata elettorale nelle quale non conta quanti vanno a votare.
E’ chiaro come oggi si voglia cancellare quella volontà addirittura non celebrando il referendum, una vera e propria esautorazione del potere popolare al quale, forse, verranno sottoposti referendum su piccole bagatelle e, di grazia, qualche tema etico, di principio.
Viene il dubbio che proprio la mancanza del rifugio di un quorum difficilmente raggiungibile possa fare paura ad una classe politica che in realtà è ben poco popolare.
Eppure, l’esercizio referendario rappresenterebbe anche per la classe politica una grande opportunità per rilanciare credibilità per inaugurare una stagione di cambiamenti, entusiasmo e partecipazione nella vita politica, avvicinamento dei più giovani, dei tanti che negli anni si sono allontanati dal voto perché non sanno più in cosa credere.
Una stagione di confronto che porti al voto sui temi dell’accordo sarebbe vista dalla popolazione come la politica che torna a fare la politica, dio solo sa quanto essa manchi, lasciando spazio a disillusione e rancore.
Compito della politica è coinvolgere, avvicinare, non allontanare.
E’ necessaria la lungimiranza di chi non si accontenti e affidi a quel 30, 40% del corpo elettorale che sempre vota ed è sostanzialmente prevedibile; un passaggio così epocale come quello che ci apprestiamo a compiere dato che riguarderà tutti, ha bisogno che tutti si esprimano.
Non possiamo affrontare questo passaggio abaco alla mano, con la mentalità tecnicistica, opponendo alla volontà di espressione popolare vaghe scuse inerenti la poca preparazione dei cittadini; come se liberi professionisti, imprenditori, lavoratori non siano capaci di valutare responsabilmente se la strada è quella giusta.
I politici passano, gli effetti degli accordi rimangono, non permettere al popolo di esercitare il proprio sovrano diritto sarebbe una usurpazione di potere, abbiamo usato più volte l’espressione popolo formula ormai desueta proprio perché ha nella sua etimologia il concetto di unità di aggregazione, e, aggiungiamo, fa rima con Repubblica, che è gestione della cosa di tutti.
Quindi non c’è Repubblica senza popolo, senza la volontà di questi c è la gestione del potere non la politica.
Un paese è null’ altro che i suoi abitanti.
Comitato I CAPIFAMIGLIA