Il Comitato “I Capifamiglia” ha raccolto, nella sola giornata di ieri e senza alcuno sforzo organizzativo, le firme necessarie per presentare il quesito referendario contro l’Accordo di Associazione tra San Marino e l’Unione Europea.
Non hanno avuto bisogno di conferenze stampa, né di partiti alle spalle, né di apparati burocratici. È bastato il lavoro d’informazione finalmente corretta svolto dai nostri articoli, unito al passaparola spontaneo di cittadini indignati, stanchi di essere trattati come sudditi invece che come protagonisti del proprio destino. E sia chiaro: dietro questa iniziativa non c’è nessun piano occulto, nessuna forza esterna, nessun “grande burattinaio”. C’è solo il risveglio civile di una parte della cittadinanza che non ne può più.
Nei prossimi giorni il quesito sarà con ogni probabilità depositato presso il Collegio Garante per il vaglio di ammissibilità, avviando formalmente il percorso che potrà portare a una consultazione popolare.
I promotori sono stati chiari fin dal principio: non si tratta di un comitato politico, ma di cittadini, madri, padri di famiglia, imprenditori, pensionati. Persone che non si fanno incantare da promesse generiche, che non vogliono essere assimilati ma restare, con fierezza, sammarinesi.
Questo referendum non nasce da un capriccio. È la risposta naturale e inevitabile a un processo portato avanti dal governo con una velocità sospetta, senza un vero dibattito pubblico, senza trasparenza, senza coinvolgimento. Un processo silenzioso, tenuto lontano dai riflettori, confinato in stanze tecniche e in linguaggi volutamente incomprensibili, se non addirittura coperto da clausole di riservatezza. Un metodo che, da solo, dice tutto.
L’Accordo di Associazione con l’UE, che ci è stato venduto come soluzione miracolosa ai problemi economici del Paese, è in realtà un documento che stravolge profondamente l’assetto giuridico, politico e sociale della Repubblica. Un atto di sottomissione normativa mascherato da “modernizzazione”, quando in realtà San Marino non ne ha alcun bisogno ed addirittura abbiamo visto in questi ultimi giorni che non porterà nulla di nuovo, ma solo cose che abbiamo già, ed addirittura ci impegnerà ad approvare senza presentare nessuna eccezione oltre 7.000 nuove leggi che noi non abbiamo chiesto e non vogliamo. Una dittatura.
Noi non vogliamo seguire ciecamente una classe politica che sembra intenzionata a gettarsi nel burrone dell’eurointegrazione trascinando con sé un intero popolo non informato.
Perché qui non si tratta solo di firmare un trattato. Si tratta della nostra sovranità, del nostro diritto di scrivere le leggi che ci governano, di decidere come organizzare la scuola, la sanità, la giustizia, l’urbanistica.
Si tratta del futuro della nostra economia, dei nostri immobili, dei nostri stipendi. Si tratta del nostro stile di vita, invidiato da tutti, della nostra vita. Non possiamo ucciderci, immolarci, dietro a quella che è palesemente un grave errore e che negli anni ci omologherà a tutti i popoli della UE togliendoci l’unica cosa che abbiamo: le leve della nostra sovranità.
E tutto questo dovrebbe essere deciso da una manciata di segretari e consiglieri, alcuni dei quali hanno persino ammesso in privato di non condividere l’accordo, ma di doverlo sostenere per obbedienza al partito e alla maggioranza di governo, senza nemmeno chiedere un’opinione al popolo.
Non può funzionare così.
Ed è proprio per questo che questa iniziativa ha acceso fin da subito un fortissimo entusiasmo trasversale. Non per ideologia, ma per semplice buonsenso.
Se davvero l’Accordo è così vantaggioso, perché temere un referendum? Se davvero porterà crescita e benessere, perché non spiegarlo voce per voce, articolo per articolo, in pubblico?
Perché invece si continua a dire che “non possiamo rimanere indietro”, che “tutti lo fanno”, che “è inevitabile”? È la stessa logica cieca che ha spinto l’Italia a cedere pezzi enormi della propria sovranità, con risultati oggi sotto gli occhi di tutti.
San Marino non ha bisogno di obbedire. Ha bisogno di capire. Di valutare. Di scegliere con la propria testa.
E oggi, grazie a questa raccolta firme, i sammarinesi hanno l’occasione concreta di riprendersi un diritto fondamentale che stava per essere negato: il diritto di decidere sul proprio futuro.
Se i Garanti approveranno il quesito, sarà il referendum a dire se questo accordo ha senso oppure no. Ma se si negherà al popolo persino il diritto di pronunciarsi, allora sarà inevitabile domandarsi se viviamo ancora in una democrazia o in una pseudo-dittatura.
Poi voglio vedere alle prossime elezioni chi voterà questa gente! Che ci hanno imposto con la forza un accordo di associazione UE che non vogliamo.
Il referendum dirà se i sammarinesi vogliono davvero entrare in un sistema che impone regole scritte altrove, che introduce vincoli ambientali, fiscali, finanziari, senza fornire in cambio gli strumenti strutturali riservati agli Stati membri dell’UE.
Chi ha firmato ieri ha dimostrato che la democrazia, se vuole, sa ancora essere rapida e determinata. E che il vero patriottismo non è quello delle bandiere sugli edifici pubblici, ma quello di chi alza la testa e dice: noi non ci buttiamo nel burrone.
Noi vogliamo capire. E se non ci convince, noi diciamo no.
*** Intanto oggi pomeriggio, dalle 17 alle 19, presso lo studio dell’avv. Belloni (sopra la Ferramenta Righi), sarà possibile firmare anche per i due referendum promossi dal Partito Socialista. Il partito sottolinea l’importanza di partecipare alla raccolta firme, condizione necessaria per la presentazione ufficiale dei quesiti. Chiunque sia interessato può contattare i numeri 335 7330309 e 335 8494117 ***
Marco Severini – direttore GiornaleSM