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  • San Marino. Assunzioni nella PA: come e perché si è passati dalle delibere di Congresso ai bandi di concorso, aperti a tutti i cittadini … di Alberto Forcellini

    La riforma della PA passa non solo attraverso la riduzione della spesa pubblica, il fabbisogno, l’avvento delle nuove tecnologie, le specializzazioni, ma anche attraverso il miglioramento dei percorsi di selezione e reclutamento. Ovvero, non più attraverso le delibere di Congresso, ma tramite i bandi di concorso.

    Approfondiamo l’argomento sulla base della risposta che il Segretario agli Interni Elena Tonnini ha fornito in Consiglio ad un’interpellanza di RF, presentata sulla scorta del “caso” sollevato sul bando di concorso per il nuovo dirigente dell’Ufficio di Stato Civile.

    “Reclutare il personale pubblico tramite concorsi – ha spiegato il Segretario di Stato in aula consiliare – non è minimamente paragonabile, a livello di complessità, di impegno organizzativo e di rischio di ricorsi, che è esponenzialmente più elevato, rispetto ad assumere dalle pubbliche graduatorie, nella speranza di una futura stabilizzazione.

    “Ma è un impegno determinante: serve a selezionare i più preparati e soprattutto a perseguire realmente il principio costituzionale del “diritto di tutti i cittadini ad avere accesso, secondo legge, ai pubblici uffici”. In pratica, vuol dire che anche chi lavora nel privato (e quindi non è iscritto nelle graduatorie pubbliche) viene messo in condizione di poter accedere al pubblico impiego.  E ciò viene garantito solo tramite i concorsi”.

    C’è poi da rilevare una differenza sostanziale tra le procedure concorsuali, che sono più strutturate, puntualmente disciplinate e volte ad assunzioni a tempo indeterminato nell’Amministrazione; e le procedure selettive, le quali, seppure siano molto rigorose, sono più snelle e veloci, e sono volte ad assunzioni a tempo determinato.  Un allineamento della due procedure sarebbe, in realtà, non congruente con il principio di proporzionalità che regge l’azione amministrativa.

    La composizione delle commissioni esaminatrici è puntualmente descritta dalla legge.

    L’obiettivo politico è triplice: garantire l’assunzione di persone competenti ampliando le modalità di accesso; eliminare la discrezionalità politica nelle assunzioni; garantire che Governo e Amministrazione pubblica operino secondo principi di separazione, o meglio, di distinzione delle funzioni, come veniva sancito nella famosa legge di riforma del 2011 e che finora è stata lettera morta.

    Tutto ciò ovviamente è più difficile da fare che da dire, come dimostrano le tante strumentalizzazioni che sono state innescate per la selezione del nuovo dirigente dello Stato Civile. La ragione sta nel fatto che è molto difficile abbandonare la vecchia mentalità per cui si cercavano sempre canali preferenziali per l’amico, il familiare, il tesserato di partito. Niente concorsi, niente prove d’esame, né commissioni d’esame per la valutazione dei candidati: decideva tutto il Congresso di Stato. Non c’erano soggetti controinteressati, non c’era procedura competitiva, non c’era rischio di ricorsi, né istanze da parte dei candidati.

    Così, ancora oggi, nonostante le pretese di cambiamento e rinnovamento, molti non rinunciano alle vecchie abitudini e ricorrono alle ricusazioni, si avvalgono dell’opportunità dell’astensione o meno di Commissari, nonché di ricorsi in opposizione o giurisdizionali amministrativi, o di domande di accesso agli atti, a volte presentate in maniera ridicola come se, per loro natura, esse siano sintomo che ci sia qualcosa di sospetto all’interno della procedura.

    È più difficile vincere un concorso quando si devono mettere in campo competenze ed esperienza professionale, piuttosto che le tessere. Quindi si ricorre ad altri mezzi, come la denuncia sui giornali e sui social di “presunti pastrocchi”, avallati da altrettanto presunti silenzi istituzionali.

    Quello che non è condivisibile ed anzi deleterio per un Paese “civile” è: da una parte, il favorire un clima dove il candidato che non vince sia quello “trombato” per motivazioni politiche o di altro e genere; e dall’altra, quello che vince o, comunque viene assunto sulla base della graduatoria finale, lo sia necessariamente perché raccomandato o favorito.

    “Gettare fango e discredito senza ragione – ha chiosato il Segretario Elena Tonnini – alimentare dolosamente il dubbio e la sfiducia per scopi meramente politici e contingenti, se non per rancori personali, sull’operato dell’Amministrazione determina un danno ingentissimo e duraturo. Il problema non è attaccare l’attuale Direttore della Funzione Pubblica, il suo mandato terminerà e verrà sostituito secondo i termini di legge che, per inciso, prevedono, come per tutti i dirigenti apicali, una durata massima dell’incarico di nove anni. Il problema è vanificare tramite illazioni, chiacchiere e congetture, uno sforzo che l’Amministrazione ha messo in atto. La predisposizione e l’emanazione di concorsi e bandi di selezione pubblica, rappresenta sia per chi vi partecipa, sia per l’amministrazione (su mandato del governo in base al proprio programma), un lavoro importante, che è aumentato in modo esponenziale nell’ultimo anno e mezzo, e che non deve essere dato per scontato”.

    a/f