Ciò che rende speciale un evento è la sua narrazione. E il Natale, l’evento per eccellenza, merita di essere raccontato come si deve perché il suo racconto ne rappresenta proprio l’essenza. E’ allora un vero peccato aver perduto quasi tutti gli argomenti e ritrovarsi ogni anno un po’ più poveri di parole per i nostri figli visto che solo appassionandoli con i nostri racconti riusciremmo a ripagarli per la fatica che essi fanno a stare con noi grandi. Dovremmo partire dal racconto della luce, perché il Natale è prima di tutto luce. Lo festeggiamo il 25 dicembre, giorno del solstizio d’inverno il quale infatti corrisponde alla festa romana del Sol Invictus che fu poi sostituita dal Natale per celebrare l’autentico Sole di giustizia. La letizia illumina l’oscurità dell’inverno e riscalda la stagione gelida, auspicando le nuove speranze. Non è un caso che il Salvatore sia nato in una grotta. Gesù entra come Giona nelle fauci della Terra per portare luce laddove è solo e sempre oscurità, per offrire speranza alla disperazione. Tutto è simbolico nel racconto della nascita e nessun dettaglio è posto a caso. Il bambino appena nato giace in una mangiatoia, il suo piccolo corpicino è bendato. Il bendaggio a fasce intrecciate evoca una figurazione mortuaria richiamando l’immagine di Cristo morto nella scena della deposizione nel sepolcro, ma anche la figura di Lazzaro, morto e poi resuscitato. La mangiatoia stessa ricorda l’immagine di un sepolcro. La vita e la morte sono le due facce della stessa medaglia. Chi nasce morirà ma grazie al Salvatore potrà anche tornare a vivere perché Egli porta luce nelle tenebre. Tutto in lui è luce, luminosa è la stella-angelo che annuncia la sua venuta. Gesù è un Sole che illumina gli uomini e le loro menti spesso ottenebrate. Quando non crediamo ai progetti più grandi di noi, quando concentriamo tutte le nostre energie sui piccoli interessi, quando l’ossessione del quotidiano ci impedisce di guardare ai grandi orizzonti stiamo realmente brancolando nel buio, siamo sepolti nella nostra grotta. Proprio come quando Giuseppe in cerca di una levatrice per Maria incontra Salomé. Ella per convincersi di quanto Giuseppe le dice, che Gesù è nato dallo Spirito Santo, ha bisogno di visitare la vergine perché si rifiuta di credere a quella storia. Ma la mano con cui visita Maria le si secca come è curiosamente documentato dalla placca d’avorio sul trono di Massimiano a Ravenna. Guarirà più tardi perché contagiata dalla luce dello spirito riconoscerà finalmente in Gesù il figlio di Dio. Se Salomé fosse stata solo una bambina o se avesse mantenuto intatto il modo di guardare che aveva quando bambina lo era davvero, avrebbe subito riconosciuto come vero il racconto di Giuseppe. Non preoccupiamoci dunque di non esser creduti, di star raccontando favole, ciò che forse davvero manca al nostro tempo è proprio la capacità di credere a ciò che è incredibile perché si fa fatica a immaginare. Quel che conta è che ai bambini piace questo parlare della luce e sono tanti gli adulti ad avere la stessa passione che andrebbe però riscoperta. Altrimenti saremo condannati a vivere la vita come fosse un sogno sordo, senza speranze. La Tribuna Sammarinese
