“Non ti difenderei al meglio”: così un’avvocatessa di Pordenone ha rinunciato alla difesa di un 33enne, presunto omicida della compagna di un anno più giovane. L’uomo la aveva scelta quale legale di fiducia: la professionista tuttavia da tempo è impegnata nella difesa dei diritti delle donne, quindi ha detto passo, dopo una vita e una carriera spese a promuovere la tutela delle fasce più deboli. La capisco. Io ad esempio, pensando ai gerarchi nazisti, tante volte mi sono detto che i loro avvocati mi facevano schifo, non tanto quanto i loro assistiti certo, ma comunque non riuscivo a comprendere che cosa li spingesse. Certamente in alcuni casi c’era comunione di idee, quindi diventava evidentemente facile provare a giustificare quella feccia, nonostante gli abomini compiuti. In altri tuttavia gli avvocati facevano né più, né meno il proprio lavoro. Fino a qualche anno fa questo concetto proprio non riusciva a entrarmi nella zucca. Le mie vicende umane e professionali poi, mi hanno portato a comprendere meglio lo stato d’animo degli indagati/imputati e dei legali. Un lavoro non semplice il loro, proprio perché c’è ancora chi associa l’avvocato, al proprio assistito. Così chi difende lo stupratore è pure lui una cattiva persona. Potrei portare in questa sede decine di casi di errori giudiziari anche gravi, dove una persona sembrava colpevole, ma alla fine non lo era. Magari lo era per i media certo, che troppo spesso sono protagonisti di processi di piazza e aizzano le folle scrivendo già la parola fine a vicende che invece devono ancora raccontare molto. E ancora, troviamo imputati – e i loro avvocati – che sono costretti a combattere contro tutti e tutto per fare emergere la verità. Anche contro gli insulti gratuiti di chi accusa gli stessi legali di rappresentare dei colpevoli. Da Pordenone arriviamo a San Marino. Dove quelli del Conto Mazzini sono già tutti colpevoli. Perché? “Perché sì dai, vuoi che non abbiano rubato? In fondo sono dei politici, sono tutti ladri. Guarda che macchinone! Come avranno fatto a comprarlo…”. No, non ho paura di nominare il Conto Mazzini. Ho ancora meno paura che qualcuno possa accusarmi di dare man forte agli imputati. Il motivo è molto semplice. Io credo – ma lo “crede” anche il Diritto – che le loro responsabilità debbano emergere all’interno del processo. I pettegolezzi vanno lasciati al bar. Le accuse vanno dimostrate e devono reggere nell’aula di tribunale, dove non basta dire: “Sono politici, quindi qualcosa avranno fatto”. Mi auguro dunque per la stessa economia di tale importantissimo procedimento penale, che il giudice che ha condotto le indagini preliminari, possa fare emergere la propria estraneità rispetto alle gravissime accuse che gli vengono mosse. Del giudice mi interessa poco, quel che conta è il buon andamento del processo stesso, che deve entrare nel merito dei fatti e non rischiare di essere azzerato perché magari le indagini che ne sono la base possono risultare viziate. Allo stesso modo mi hanno molto colpito le becere accuse piovute in questi giorni contro il legale di uno dei testi escussi durante le indagini della commissione di inchiesta sul Cis. E qui mi riallaccio al cuore di questo articolo. Il noto professionista sammarinese viene additato perché “colpevole” di difendere anche uno dei principali indiziati del “Mazzini”. Non solo: si vuole indurre la gente a credere che la sua “difesa” possa persino essere propedeutica a tale vicenda giudiziaria. Ancora una volta dunque si tende a confondere il legale con il suo/suoi assistiti, andando così a ledere una professione nobile e dignitosissima e nello stesso tempo i diritti degli indagati/imputati, i quali sono innocenti fino a condanna definitiva. L’avvocato è un garante non solo delle ragioni del proprio cliente, ma della stessa giustizia. Fa in modo di verificare che ogni processo si svolga nel rispetto delle leggi, sia di procedura che di sostanza. Ecco perché un avvocato può essere disposto a difendere un criminale (il quale, comunque, diverrebbe tale solo dopo il processo). Nel momento stesso in cui si prova anche solo a fare passare il concetto che il processo non serve (e nel processo si mette anche l’avvocato), finisce pure lo Stato di Diritto. Per questo per quanto io possa trovare nobile il comportamento dell’avvocatessa di Pordenone che ha rinunciato alla difesa del presunto killer perché paladina dei diritti delle donne, avrei trovato ancora più nobile se ne avesse comunque preso la procura. Chiudo con una bella frase di Piero Calamandrei: “Certi clienti vanno dall’avvocato a confidargli i loro mali, nell’illusione che, col contagiarne lui, essi ne rimarranno subito guariti: e ne escono sorridenti e leggeri, convinti di aver riconquistato il diritto di dormire tranquilli dal momento che hanno trovato chi si è assunto l’obbligo professionale di passare le sue notti agitate per conto loro”.
David Oddone