Dell’urgenza di una giustizia più giusta si è parlato e si sta continuando a parlare tanto. Il governo da parte sua ha preso un impegno importante con gli elettori che nutrono delle aspettative ed evidentemente sperano in un cambiamento. Va in quel senso il progetto di legge qualificata presentato negli scorsi giorni che ha per oggetto la “Composizione del Consiglio giudiziario in seduta plenaria”. Progetto immediatamente rimbalzato sui social per il tramite dei commenti, guarda il caso non positivi, dell’ex presidente della commissione giustizia, Mimma Zavoli, peraltro non confermata in Consiglio dagli elettori. Altra chiave di lettura ci è stata fornita dal consigliere di Npr Gian Nicola Berti.
Consigliere, quali sono i punti salienti del progetto di legge?
“La legge ha tre passaggi con i quali si restituisce la situazione antecedente alle pessime interpretazioni di leggi che invece erano chiare. Penso in primo luogo al fatto che i magistrati che prendono parte al consiglio giudiziario plenario possano essere soltanto quelli a tempo indeterminato, questo per garantire massima indipendenza dalla politica visto che è proprio la politica che dopo i tre anni del periodo di prova è chiamata a riconfermare il magistrato a tempo determinato. L’altro articolo a mio avviso molto importante è quello che stabilisce che il dirigente non magistrato non abbia diritto di voto”.
Rimanendo nell’ambito della giustizia, è recente il nuovo ‘sollecito’ dei due vincitori del concorso per i due posti di giudici d’appello che alla luce della sentenza dei primi di gennaio del Collegio Garante chiedono conto al Congresso di quando potrà avvenire il giuramento.
“Questa situazione è frutto della confusione fatta dal Collegio Garante su una legge che chiaramente dice che le nomine partono dal Consiglio e finiscono con la presa d’atto, sempre in Consiglio. C’è anche una sentenza del 2004 del Collegio Garante che chiarisce questo aspetto. E’ stato l’ultimo Collegio, quello che si era autoprorogato pur in mancanza di una norma che contemplasse la possibilità di una proroga, a stabilire in una sentenza cose che confliggono con una serie di norme. Tale sentenza introduce in capo al Congresso compiti non previsti dalla legge. Dunque il Collegio avrebbe potuto sollevare problemi di incostituzionalità. Paradossalmente invece c’è ancora una legge che stabilisce determinate funzioni e una sentenza che attribuisce compiti diversi. A quel punto è inevitabile chiedersi se è più grave violare una legge o una sentenza”.
In che modo sarà possibile uscire da questo impasse?
“Se la decisione spettasse a me deciderei di rispettare la legge. So che il Congresso ha chiesto un parere al Collegio Garante ed è singolare che tale parere non sia arrivato dal Collegio Garante al quale era stato chiesto ma che a ribadire la necessità di rispettare la precedente sentenza sia stato il presidente Nicolini che non ha ritenuto di riunire il Collegio. In questo modo si continua a invitare il Congresso a compiere atti non previsti dalle leggi”.
Si è dibattuto a lungo in Consiglio sull’urgenza che dal Tribunale venissero portate all’attenzione della politica le relazioni sullo stato della giustizia degli anni passati e proprio in questi giorni il dirigente Guzzetta ha comunicato di averne presentata una e di essere in procinto di presentarne un’altra entro il mese di febbraio. Per quale ragione a suo avviso si è scelto di fare questo tipo di comunicazione?
“Sono questioni che dovrebbero essere presentate nelle competenti sedi anziché con dei proclami ma la ragione di tale scelta può dirla solamente il dirigente del Tribunale”.