È una di quelle sentenze che non stanno dentro la cronaca “normale”, perché toccano un nervo scoperto del post-CIS: il rapporto tra crisi bancaria, responsabilità gestionali e tentativi – più o meno sofisticati – di mettere al riparo beni e patrimoni nel momento in cui il rischio di azioni giudiziarie diventa concreto. Nella causa civile n. 275/2020, il Tribunale della Repubblica di San Marino, con decisione pronunciata dal Commissario della Legge Isabella Pasini, ha accolto l’azione proposta da Banca Nazionale Sammarinese (già Banca C.I.S.), assistita dagli avvocati Sido Bonfatti e Tania Ercolani, contro Daniele Guidi (difeso dagli avvocati Giovanni Frau e Gian Luca Mularoni) e contro Maria Stefania Lazzari e Tommaso Guidi (difesi dagli avvocati Fortunato Taglioretti, Marco Gandini e Gloria Giardi). Al centro del procedimento: la richiesta della banca di far dichiarare inefficaci – nei suoi confronti – gli atti di attribuzione patrimoniale contenuti nell’accordo di separazione consensuale sottoscritto da Guidi e Lazzari il 13 febbraio 2019.

La banca ha agito con lo strumento più “chirurgico” che l’ordinamento mette a disposizione quando un creditore ritiene che il debitore stia svuotando il proprio patrimonio: l’azione revocatoria ordinaria, nota anche come actio pauliana. In sostanza, non si chiede di annullare l’atto in assoluto, ma di renderlo inefficace verso il creditore, così da permettere a quest’ultimo di aggredire comunque quei beni come se l’atto dispositivo non fosse mai stato posto in essere rispetto alle sue ragioni.
Per capire la portata del caso, bisogna guardare le date. BNS sostiene – e il Tribunale valorizza – che l’accordo di separazione del 13 febbraio 2019 arriva immediatamente dopo l’apertura della procedura di Amministrazione Straordinaria nei confronti di Banca CIS e la sospensione dei pagamenti disposta il 21 gennaio 2019. È qui che si colloca la “tempistica sospetta” evidenziata in sentenza: un mese dopo l’avvio della gestione straordinaria, quando la situazione dell’istituto era già esplosa e quando, per una figura apicale come Guidi – per ruolo e contesto – non poteva non essere percepibile il rischio di conseguenze patrimoniali future.
Nel dettaglio, BNS ha descritto un pacchetto di attribuzioni patrimoniali precise, collegate all’accordo di separazione: la casa familiare a Borgo Maggiore, in via Giovanni da Lignano n. 38, intestata esclusivamente a Daniele Guidi, viene “smontata” in due diritti distinti. Da un lato, Guidi trasferisce al figlio Tommaso Guidi la nuda proprietà dell’immobile; dall’altro, attribuisce alla moglie Maria Stefania Lazzari l’usufrutto generale vitalizio sul medesimo bene. Nell’accordo, si indicano valori fiscali: 600.000 euro per la nuda proprietà e 300.000 euro per l’usufrutto. Ma ciò che pesa, nella prospettiva del giudice, è un’altra frase: l’accordo indica che la cessione è fatta ed accettata “a titolo del tutto gratuito”. Questo passaggio diventa uno snodo tecnico decisivo perché, nel diritto dell’azione revocatoria, la gratuità cambia il livello di prova richiesto.
Non finisce qui. Sempre nell’ambito della definizione dei rapporti patrimoniali tra coniugi, l’accordo prevede la divisione dei beni in comunione: alla moglie vengono attribuite porzioni immobiliari a Rimini (viale Trento n. 30) – appartamento, autorimessa e posto auto – oltre a quote su un terreno a Borgo Maggiore in località Tavolucci. A Guidi vengono attribuite 88.734 azioni della società “LEITON HOLDING S.A.” con sede in Lussemburgo. Le parti dichiarano che il valore complessivo dei beni oggetto della divisione è 1.800.000 euro e che ciascun condividente riceve beni per 900.000 euro. BNS però contesta frontalmente l’equivalenza: sostiene che il valore effettivo di quelle azioni fosse pari a zero, e che quindi la divisione mascherasse – di fatto – una attribuzione gratuita in favore della moglie, sottraendo al patrimonio aggredibile beni immobili di valore certo e “scaricando” sul marito titoli di valore incerto.
In sostanza, la tesi bancaria è lineare: la separazione non è contestata come separazione in sé, ma come contenitore negoziale dentro cui sono stati collocati trasferimenti patrimoniali idonei a ridurre la garanzia dei creditori. BNS chiede al Tribunale di dichiarare inefficaci nei suoi confronti gli atti relativi alla casa di Borgo Maggiore (nuda proprietà al figlio e usufrutto alla moglie), quelli relativi all’immobile di Rimini e quelli relativi ai terreni di Tavolucci. In via subordinata, chiede persino la nullità per simulazione assoluta, sostenendo che l’accordo potesse essere uno schermo.
Nel corso del giudizio accade un fatto ulteriore: BNS viene a conoscenza che l’immobile di Rimini, attribuito alla Lazzari, era stato alienato a un terzo con atto a titolo oneroso, e per questo motivo modifica la propria domanda: non potendo più ottenere l’effetto pratico di rendere quel bene aggredibile (se il terzo è in buona fede), chiede che la Lazzari sia condannata a risarcire il danno nella misura del corrispettivo incassato, pari a 260.000 euro, oltre interessi e rivalutazione. Anche questo punto, come vedremo, verrà trattato in modo netto dal Tribunale.
La procedura non è stata breve né lineare. Il fascicolo viene assegnato a questo magistrato dopo l’astensione del Commissario V. Pierfelici (assegnazione del 18 settembre 2020). Poi ci sono le udienze di costituzione, le richieste delle parti, i rinvii legati anche alla fase pandemica, l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Daniele Guidi, e soprattutto la questione delle sospensioni: i convenuti avevano invocato pregiudizialità civili, penali e amministrative, sostenendo che prima si dovessero definire altri procedimenti. Il giudice però richiama e conferma un proprio decreto precedente, ribadendo un principio operativo: la sospensione per pregiudizialità è eccezione, e va provata in modo serio, documentale e pertinente. Nel caso concreto, le prove prodotte su presunti procedimenti penali risultano inidonee, e quanto ai procedimenti civili e amministrativi non emerge un vincolo logico necessario tale da imporre lo stop della causa revocatoria. Tradotto: il Tribunale non accetta che il processo venga congelato in attesa di altri giudizi, soprattutto quando l’azione revocatoria ha una funzione conservativa della garanzia patrimoniale.
Nel merito, la sentenza fa un lavoro “da manuale” sull’actio pauliana, ricordandone la natura: è un’azione personale, con efficacia relativa, che lascia l’atto valido tra le parti ma lo rende inefficace rispetto al creditore che l’ha promossa. La finalità è ripristinare la situazione utile a consentire la tutela del credito. Per ottenere la revocatoria occorrono i due presupposti classici: eventus damni (il pregiudizio patrimoniale arrecato al creditore) e consilium fraudis (la consapevolezza del debitore di pregiudicare il creditore; con regole diverse a seconda che l’atto sia oneroso o gratuito). Su questo, il Tribunale richiama giurisprudenza sammarinese storica e consolidata, insistendo sul punto centrale: l’azione tutela anche crediti non ancora definitivamente accertati, e soprattutto l’anteriorità del credito va vista non al momento della sentenza, ma al momento in cui il credito sorge.
Qui il giudice afferma un passaggio che, sul piano pratico, pesa come un macigno: BNS era legittimata ad agire e il credito è anteriore agli atti perché le ragioni creditorie discendono da responsabilità gestionali e dalla crisi della banca emersa con l’amministrazione straordinaria, avvenuta un mese prima degli accordi di separazione. Il debitore non può difendersi dicendo “non c’era ancora la causa” o “non era ancora accertato”: ai fini revocatori basta che la pretesa creditoria esista nel suo nucleo e che il creditore abbia fatto affidamento sulla garanzia patrimoniale del debitore.
Sul requisito dell’eventus damni, la sentenza è altrettanto diretta: il trasferimento di quei beni ha inciso in modo evidente sulla consistenza patrimoniale del convenuto, privandolo dei cespiti di maggior rilievo economico, e non è stata fornita dal debitore un’alternativa credibile – cioè l’esistenza di altri beni capienti – idonea a neutralizzare il pregiudizio.
Il cuore della decisione è però sul consilium fraudis e sulla natura degli atti. I convenuti provano a sostenere che gli accordi avessero natura solutoria o comunque fossero inseriti in una sistemazione complessiva “normale” della separazione, e che i coniugi fossero separati di fatto dal 2014. Il Tribunale smonta questa impostazione su due livelli. Primo: l’accordo produce effetti patrimoniali dal 13 febbraio 2019 e ciò che conta è quella data, non le crisi pregresse o le separazioni “di fatto”. Secondo: il giudice guarda il testo e trova che per la cessione della casa familiare – nuda proprietà al figlio e usufrutto alla moglie – le parti parlano esplicitamente di gratuità, e non collegano quell’attribuzione a un obbligo di mantenimento. È un punto chiave perché, se l’atto è gratuito, al creditore non serve provare la frode del beneficiario: basta la consapevolezza del debitore del pregiudizio arrecato ai creditori. E la consapevolezza, dice la sentenza, si desume anche per presunzioni, soprattutto quando la tempistica è così ravvicinata rispetto all’amministrazione straordinaria e alla sospensione dei pagamenti.
Quanto alla divisione dei beni comuni, il Tribunale entra anche qui con un ragionamento pratico: anche la divisione può essere revocabile perché modifica la composizione patrimoniale e può rendere più difficile la soddisfazione dei creditori. Nel caso specifico, anche prescindendo dalla perizia prodotta da BNS, il giudice osserva che le azioni Leiton sono legate a partecipazioni in istituti bancari entrati in procedure di rigore e che, quindi, il loro valore doveva ragionevolmente essere percepito come suscettibile di forte svalutazione. La conseguenza è chiara: alla moglie restano beni immobili con valore definibile e aggredibile, al marito titoli di valore controverso. Risultato: per il creditore la strada diventa più incerta e più difficile. Ed è esattamente ciò che l’actio pauliana mira a evitare.
La sentenza non si ferma alla posizione del solo Guidi. Sul fronte della moglie e del figlio, pur ricordando che per gli atti gratuiti non serve dimostrare la loro scientia fraudis, il Tribunale evidenzia comunque elementi concreti: Guidi era decaduto dalla carica per effetto dell’amministrazione straordinaria, circostanza che difficilmente poteva essere ignota in ambito familiare; e soprattutto, la moglie è indicata come titolare di studio commercialista, dunque dotata di competenze tali da comprendere portata e conseguenze della crisi bancaria e delle ricadute patrimoniali. È un passaggio che, nella lettura del giudice, rafforza la plausibilità della consapevolezza anche lato beneficiari, e rende ancora più fragile la linea difensiva della “separazione neutra”.
A questo punto, il Tribunale arriva alla conclusione: i presupposti dell’azione revocatoria ricorrono. Gli atti di attribuzione patrimoniale contenuti nell’accordo di separazione del 13 febbraio 2019 vengono quindi travolti nel senso tecnico della revocatoria: restano validi tra le parti, ma diventano inefficaci nei confronti di BNS, che potrà far valere le proprie ragioni come se quei beni non fossero mai usciti dalla garanzia patrimoniale del debitore, limitatamente a quanto necessario per soddisfare il credito.
La domanda di simulazione viene dichiarata superflua: l’accoglimento della revocatoria rende inutile qualsiasi ulteriore statuizione.
Resta la questione dell’immobile di Rimini venduto a terzi. Qui la banca aveva chiesto una condanna risarcitoria per 260.000 euro, pari al corrispettivo incassato dalla Lazzari. Il Tribunale taglia corto con un principio di tecnica processuale e sostanza: l’azione revocatoria non è un’azione di risarcimento, non è restitutoria, e non può essere trasformata in una condanna generica. Se il bene è finito a un terzo di buona fede, il creditore potrà agire in via esecutiva sul corrispettivo, ma non introdurre nella causa revocatoria una pretesa risarcitoria che ne muta l’oggetto. Qui il giudice accoglie l’eccezione dei convenuti e dichiara la domanda inammissibile, parlando esplicitamente di rischio di mutatio libelli: cambiare causa e natura dell’azione in corso d’opera non è consentito in quel modo.
Infine, sulle spese, si applica il principio classico: chi perde paga. In base al § 272, rubrica XXXII del libro I delle Leges Statutae, spese e onorari di giudizio vengono posti a carico delle parti convenute, in ragione della soccombenza.
Il dato politico-giudiziario, al netto dei tecnicismi, è questo: il Tribunale manda un segnale preciso al “sistema” post-crisi bancaria. Gli accordi di separazione, anche se formalmente legittimi e civilisticamente ordinati, non sono un’area franca se contengono trasferimenti che, per tempistica e contenuto, riducono la garanzia patrimoniale proprio quando i creditori – soprattutto istituzionali – iniziano a muoversi. La banca vince, Guidi e la sua famiglia perdono sul punto centrale, e gli atti di attribuzione patrimoniale finiscono sotto il marchio più temuto da chi prova a schermare beni: revocati, cioè inefficaci verso il creditore.
Se questa sentenza farà scuola lo diranno i prossimi fascicoli. Ma intanto un messaggio è già arrivato: nel dopo-CIS, quando il creditore pubblico o para-pubblico entra in campo, il Tribunale non guarda le forme, guarda l’effetto. E soprattutto guarda la data.












