…E ci risiamo. San Marino, quello spuntone di roccia dove la politica si trasforma in un circo equestre con tanti piccoli “Salvini” che urlano “al fuoco!”, mentre la tenda è asciutta come un osso cotto dal sole del deserto e i giorni – ostinati come un mulo con i paraocchi – continuano a passare indifferenti…
L’ultima esibizione? Dopo la “simil-perla” precedente di Repubblica Futura (leggi qui), ecco sulla vicenda BSM, non certo per me inatteso, il comunicato stampa di Rete e Demos (leggi qui), un bollettino che sa di popcorn bruciati e puzza di indignazione pretestuosa: “grave colpo alla credibilità del nostro Paese e del suo sistema finanziario“, “Cultura mefitica degli anni ’90!“, “Task force per isolare i vecchi poteri!“. Mamma mia, sembra il copione di un B-movie dove il mostro è invisibile, ma le urla fanno così tanto casino da coprirne il vuoto. E tutto per cavalcare la vicenda BSM, trasformando un’indagine su un ente – non sulla banca, badate bene – in un’apocalisse che si abbatte sul Titano, speculando sulla superficialità di chi, tra un like e una bolletta, ingoia paure come pillole amare senza leggerne bugiardino o etichetta.

Peccato per questi “censori” che il mostro, stavolta, sia un pupazzo gonfiabile sgonfio, anzi bucato. Lo ha spiegato bene ieri, durante la conferenza stampa del Congresso di Stato – dopo aver annunciato tre milioni di ulteriore gettito strutturale, da destinare ad investimenti per lo sviluppo, buttati nel cesso facendo poi tirare ai sindacati lo sciacquone – il Segretario Gatti con la pazienza di un maestro che corregge un compito scarabocchiato: l’indagine non sfiora l’operatività della banca – il “paziente” che respira tranquillo e tiene aperti gli sportelli – ma tocca la proprietà, l’Ente che, udite udite, è “parte lesa” da qualche amministratore su cui la magistratura sta appurando l’eventuale infedeltà. Rileggetelo, come un vino che sa di aceto: banca, ente proprietario sono parte-lesa.
Ma tutti ad urlare “al fuoco!”, quando il sistema antincendio è scattato alla prima scintilla. Il “caso BSM” è come, per capirci, se l’antifurto suonasse prima che il ladro tocchi la maniglia… Ma qualcuno, invece di ringraziare il sistema antifurto che ha funzionato, corre in piazza a gridare “al ladro!”, sperando di arraffare attenzioni e – magari – consensi dal panico che alimenta, come fosse un pescatore che getta l’esca in acque agitate. Rete e Demos, con il loro appello a “forze sane” e “rinnovamento democratico”, fingono di non vedere come tutto, oggi, sia diverso rispetto a solo una decina di anni fa: AIF ha segnalato, la Vigilanza ha vigilato, Bcsm ha analizzato, la Magistratura ha lavorato e lavora senza flash da red carpet, e la politica – per una volta – ha tenuto le mani in tasca invece di infilarle nel barattolo dei biscotti. Task force? Bella idea, ma ha un nome noioso: si chiama “istituzioni che funzionano“, e non richiede conferenze o comunicati stampa faziosi, strumentali per esistere.
E qui, cari profeti del mefitico, che il vostro castello di carte usurate crolla con un soffio che sa di ridicolo: parlate di “vecchi vizi” come se il Titano fosse ancora il saloon del decennio scorso, con banche liquidate a colpi di penna avvelenata (qualcuno ha detto Asset Bank?), fondi pensione evaporati come sudore in sauna, e Banca Centrale pilotata da pizzini di un gruppo oggi rinviato a giudizio per associazione a delinquere – una banda che trattava i tesori dei sammarinesi come i soldi di un Monopoli truccato, con dadi caricati e carte “entra gratis in prigione” per i non allineati.
Oggi? Sette anni fa – come ricordato ieri dal Congresso di Stato, con un pizzico di orgoglio – un’ondata di rumor come questa avrebbe fatto chiudere bottega a qualunque banca in mezza giornata, con correntisti in fila come al Black Friday di Apple. Invece, il sistema ha incassato l’urto di isteria social e voci false, restando in piedi: liquidità solida, indici allineati alle regole UE come un orologio che ticchetta preciso, pur con le residue criticità da superare continuando il cammino ormai consolidato. Gatti lo ammette, con onestà che non sa di lacrima finta: criticità ci sono, banche da rafforzare ulteriormente, rumor da “patchare” con comunicazioni rapide come un ceffone preventivo.
Ma contestualizzate, accidenti: è sudore da maratona verso il mercato finanziario unico, non rantolo di un agonizzante… Sette anni di infezioni finanziarie curati con anticorpi che ora funzionano, patrimonializzazioni tra azionisti e Vigilanza che non scaricano buchi sui clienti, un’evoluzione che prepara il salto europeo per servizi che non costino più, come oggi, un rene e denaro che non morde come un usuraio di strada.
E poi, in questo remember stonato di un “gruppo criminoso” (così definito dal Pm che lo ha rinviato a giudizio), c’è l’ex che rispunta dal baule della storia come un cappotto fuori moda, a evocare il “pentolone del malaffare” con la nostalgia di chi rimpiange i pranzi luculliani di una cricca che oggi vegeta solo tra banchi dell’ASula Grande dei Tavolucci e carte bollate, non più al timone di banche centrali o a dettare decreti ai Ministri. Danni enormi? Certo, ma non da chi ha spento il fuoco, bensì da chi lo alimentava con balle su “svendite urgenti”, mentre la banca – testarda – resisteva già allora, solo che i riflettori erano puntati altrove, su pizzini e liquidazioni facili. Ora, con la burrasca passata e il sistema che tiene senza gravare sulle casse pubbliche richiedendo nuove emissioni di titoli irrimedibili, quel pentolone citato è solo un relitto da archeologia politica: bello per i ricordi, ma tossico da ripropinare, al pari dello schieramento politico che lo ha guardato crescere e, sovversivamente, affermarsi.
La verità, per quanto urticante per i professionisti del dramma ciò possa essere, è che questa vicenda non è lo scandalo che affossa il Titano: è la prova che il sistema serio c’è già, lavora in sordina senza megafoni, e ride in faccia ai catastrofisti che speculano sulla superficialità della gente comune, trasformando temi complessi in slogan da balcone per arraffare consensi. Rete e Demos (ieri Repubblica Futura, oggi con il ritocco da makeover politico), con il loro “impegno per legalità e competenza“, sembrano dimenticare che quelle parole non sono t-shirt da comizio: sono già operative, mentre loro evocano task force come se il Paese fosse un relitto da ricostruire, ignorando che il motore gira – e bene – proprio perché i vizi che tanto amano rievocare sono stati messi in quarantena.
Cari piccoli “Salvini” biancazzurri, smettetela di cercare responsabilità politiche dove il meccanismo ha funzionato, e puntate i riflettori sui faldoni del passato, quella stagione di devastazioni contabili che ha lasciato ferite miliardarie (in euro) da curare, non nel presente dove, finalmente, la catena istituzionale ha tenuto senza genuflettersi al signorotto di turno. Altrimenti, il vostro allarmismo non è indignazione: è trading sulla paura, un lusso che un Paese in evoluzione non può permettersi.
E la gente, tra bollette e like, forse ha capito chi cura e chi, sotto sotto, spera nel funerale – politico, s’intende – per organizzare il corteo… Anche se scorrendo i thread Facebook non sembrerebbe!
Enrico Lazzari












