La sentenza d’appello del 23 giugno 2025 non è solo la conferma di due condanne, è una linea di demarcazione. Da un lato, la giustizia che finalmente si è pronunciata: il magistrato Alberto Buriani, per anni considerato da alcuni una sorta di profeta del rigore, il padrone di San Marino, viene condannato a 4 anni.
Simone Celli, già Segretario alle Finanze nel governo Adesso.SM, a un anno con pena sospesa.

Ma dall’altro lato c’è una verità ben più profonda, e ancora tutta da portare alla luce: questi due nomi, per quanto noti, non possono e non devono diventare i soli volti su cui scaricare le colpe di un’intera stagione di disgregazione istituzionale.
Non devono essere i capri espiatori di un sistema marcio
Buriani e Celli non hanno agito da soli, anche se sono rimasti soli abbandonati dai loro compari. E chi li conosce – chi ha studiato il loro percorso, chi ha seguito le carte, chi ha osservato i passaggi istituzionali, le conferenze stampa, i decreti, le ordinanze – sa bene che la loro azione non si è consumata nel vuoto.
Al contrario, entrambi erano parte di una struttura più ampia, un vero e proprio disegno, un’architettura del potere che ha avuto il volto e la firma di molti, troppi politici che oggi siedono ancora nei luoghi dove si decide il futuro di San Marino.
FACEVANO PARTE DELLA CRICCA
Buriani non era un anarchico della toga, e nemmeno un ingenuo che credeva nella giustizia pura. Era l’uomo di fiducia di una parte del potere politico-finanziario che, pur non esprimendosi mai ufficialmente, ha saputo indirizzarlo, proteggerlo, legittimarlo. Le sue ordinanze, COME I SUOI MANDATI DI ARRESTO, erano funzionali a un obiettivo: mettere sotto scacco gli avversari di sistema, colpire chi rappresentava un ostacolo al progetto di presa del controllo su San Marino da parte di un’élite che – oggi lo sappiamo – non aveva nulla a che vedere con l’interesse collettivo, il bene comune.
E poi c’era Simone Celli, il volto presentabile della politica e graziato dallo stesso Buriani nel processo voti di scambio nella pizzeria con Carrirolo. Celli era l’uomo della “serietà” e della “trasparenza”, che in realtà scriveva decreti, assieme a tutto il governo di ADESSO.SM, per Confuorti, come emerso da carte protocollate, e tentava pressioni sulla presidente di Banca Centrale, Catia Tomasetti e per questo è stato condannato in doppia conforme.
Non è più possibile far finta di niente. Le prove ci sono. Le sentenze ci sono. Gli atti parlano. Ma manca la volontà politica di andare fino in fondo. Perché, diciamocelo chiaramente, quella che chiamiamo Cricca non era un’associazione segreta. Era un gruppo trasversale di interessi, che aveva le mani in pasta nella politica, nella finanza, nella magistratura, nei media. Un insieme di figure che si sono coperte a vicenda per anni, che hanno permesso a personaggi come Buriani e Celli, e non solo, di diventare strumenti attivi di una strategia più ampia. È questo il cuore della questione.
Per questo ho deciso di lanciare una proposta referendaria, parallela a quella sull’accordo di associazione con l’Unione Europea. Un’iniziativa popolare che dia finalmente ai cittadini sammarinesi la possibilità di sapere, di conoscere, di giudicare. Se il Congresso della Repubblica, questo Congresso, di fronte alla mia richiesta formale di istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta sui complici politici della Cricca, ha preferito il silenzio, allora deve essere il popolo a rompere quel silenzio. Deve essere la cittadinanza a dire: vogliamo sapere chi sapeva, chi ha coperto, chi ha agevolato, chi ha taciuto. Perché il silenzio non è mai neutro. Il silenzio, in questo caso, è complicità.
Il referendum che propongo non è punitivo.
Non è animato da vendetta o da sete di rivincita. È invece uno strumento trasparente, democratico, limpido. È un atto di verità. È l’unico modo per ridare dignità alle istituzioni, e dire che non accettiamo più che il passato venga insabbiato, che i colpevoli morali e politici rimangano senza nome. Se oggi Buriani viene condannato, è giusto sapere chi gli ha dato gli strumenti, chi ha garantito che restasse lì, chi ha fatto finta di non vedere quando la giustizia diventava strumento di lotta politica.
CHI ERA COMPLICE!
E lo stesso vale per Celli. Perché se è vero – come ha dichiarato – che non ha preso un euro, resta il fatto che qualcuno ha beneficiato delle sue pressioni, delle sue email, della sua disponibilità a scrivere testi normativi su commissione. E allora la domanda non è se lui ha incassato, ma per chi ha lavorato. E chi lo ha protetto mentre lo faceva.
In tutto questo, la politica sammarinese è rimasta muta
Nessuna dichiarazione, nessuna presa di distanza, nessuna condanna. Solo qualche nota gelida e burocratica, o peggio, l’assenza totale di reazione. Come se nulla fosse. Come se condannare un magistrato e un ex Segretario di Stato non rappresentasse un terremoto istituzionale. Come se non ci fossero responsabilità collettive da affrontare. Come se tutto potesse finire con due firme in calce a una sentenza.
E invece no. Noi non ci accontentiamo. E non ci accontenteremo mai.
San Marino ha bisogno di ripulirsi davvero.
E per farlo serve la verità, tutta la verità. Serve una Commissione parlamentare indipendente, con poteri veri, tempi certi, AUDIZIONI PUBBLICHE E NON SECRETATE, accesso agli atti e relazioni conclusive che non restino lettera morta. Serve uno strumento capace di fare luce dove ancora oggi regna l’ombra. Serve il coraggio di dire, una volta per tutte, che il male della nostra Repubblica non è stato solo negli uomini che hanno firmato, ma anche in quelli che hanno permesso di firmare o che hanno richiesta la firma di Celli e di Buriani.
Il referendum sull’UE ci dice dove vogliamo andare.
Quello sulla VERITA’ SULLA CRICCA ci dirà chi siamo.
E se davvero vogliamo costruire una San Marino nuova, più libera, più giusta, più credibile, non possiamo farlo senza guardare in faccia il nostro passato. Non possiamo farlo lasciando che i burattinai restino nascosti dietro le quinte, mentre i burattini pagano da soli.
È tempo di voltare pagina. Ma prima, dobbiamo leggere fino in fondo quella che ci ha portati fin qui.
Marco Severini – direttore GiornaleSM