È sempre più caldo e l’Europa intera è sempre più assetata. Tutti lì, a scrutare il cielo se per caso compare qualche nuvoletta, o a pigiare sulle app meteo per capire quando si potrà sperare in un minimo di refrigerio.
Intanto, il caldo brucia i boschi, i campi e mette a rischio le abitazioni. Il caldo uccide uomini e animali. Migliaia di ettari vanno a fuoco in Spagna, Portogallo, Francia, Grecia, Italia. Almeno una volta alla settimana, a Roma, bruciano anche i campi Rom. Quasi al cento per cento, gli incendi sono dolosi. L’autocombustione è un fenomeno rarissimo, anche con temperature al di sopra dei 40 gradi.
Ma se il 2022 è l’anno più caldo di sempre, l’altro fenomeno estremo e la mancanza di piogge. Le statistiche dicono – 45 per cento. Gli effetti sono davvero incredibili, anche in settori inimmaginabili. Ad esempio: nel nord-est è schizzato in alto il prezzo delle vongole, che vanno a toccare fino a 20 euro al chilo, con un aumento del 40%. Il motivo è la crisi idrica del Delta del Po, dove si concentrano i principali allevamenti di veraci, con conseguente moria dei molluschi e proliferazione di alghe. Le cose vanno meglio sulla riviera romagnola, dove gli allevamenti intensivi garantiscono una produzione molto alta, tanto che numerosi supermercati stanno promuovendo, per le vongole, offerte tra i 4 e i 5 euro al chilo.
Fiumi e laghi sono a secco, i ghiacciai si restringono e crollano, le centrali idroelettriche sono costrette a fermarsi, le colture sono allo stremo, tanti raccolti già compromessi. Le conseguenze della siccità nel settore agricolo sono più nefaste del previsto. Tutte le colture a seminativo sono in grande sofferenza, e perfino gli alberi da frutta. Non c’è da stupirsi quando si va a fare spesa trovare prezzi molto alti anche per i prodotti di stagione: zucchine e pomodori che costano come l’oro.
Ma se noi umani comunque abbiamo gli strumenti per difenderci sia dal caldo, sia dalla sete, per gli animali è una vera tortura. Si è calcolato che le mucche stressate dal caldo producono un 20 % in meno di latte.
Peggio stanno gli animali selvatici, soprattutto gli anfibi: rane, rospi, salamandre. Che sono fondamentali per l’equilibrio dell’eco sistema, ma hanno bisogno di zone umide, ormai sparite anche nel folto delle boscaglie. Se la cavano meglio mammiferi e uccelli, mentre per gli insetti le conseguenze sono diverse: proliferano quelli dannosi, che la siccità fa diventare devastanti, come le cavallette, le cimici giapponesi, le fastidiosissime zanzare. Vita dura per gli insetti impollinatori, ormai scomparsi insieme ai fiori. Resistono a malapena l’iperico, l’elicriso, il fiore della carota selvatica che anche senz’acqua riesce a sviluppare un fusto di 70 centimetri.
Per le api è un vero calvario. Decimate da inverni troppo caldi, primavere troppo secche, destagionalizzazione delle fioriture, ora si trovano ad affrontare una vera e propria crisi alimentare perché i fiori sono tutti bruciati.
Questi piccoli insetti che sono un vero termometro della salute del pianeta, non stanno trovando fonti di nettare. È una situazione che va avanti da diverse settimane e che rischia di mettere in pericolo anche la formazione di intere future “famiglie”. Infatti, i maschi delle api potrebbero morire perché si trovano a fare in conti con lo shock termico dovuto alle elevatissime temperature, che provoca l’espulsione dell’endofallo, l’organo genitale dei fuchi, che finisce poi per esplodere.
Gli apicoltori stanno intervenendo con sciroppi a base zuccherina non troppo concentrati per dar loro da mangiare.
E se da un lato ci si concentra sulla sopravvivenza delle api, dall’altro tanti produttori si trovano a fare i conti con l’aumento dei costi, complice il caro carburante e l’aumento dei prezzi dei prodotti utili alla produzione, come vasetti e coperchi.
L’unica cosa che si può fare per fermare, o quanto meno limitare questi fenomeni, è ridurre il riscaldamento globale e far diminuire i cambiamenti climatici. Primo punto: tagliare le emissioni di gas serra, visto che l’Europa è il terzo produttore dopo Cina e USA. Sono scese del 24 per cento fino al 2020, poi la pandemia ha contribuito alla ripresa dei livelli di inquinamento. Per come sono messe le situazioni oggi, con la guerra in corso e l’immenso problema dell’approvvigionamento energetico, l’obiettivo di emissioni zero per il 2050, sembra quasi un’utopia.
La strada da percorrere la conosciamo: fare in modo che boschi e suolo stocchino la maggior quantità possibile di CO2 sottraendola all’atmosfera (quindi piantare alberi e non bruciarli). Preservare e incrementare la biodiversità e quindi la resilienza degli ecosistemi. Utilizzare al 100% energia pulita nei processi industriali e per gli usi civili. Almeno proviamoci!
a/f