Qualche nuvola e tre millimetri di pioggia non bastano a spegnere la grande sete delle aree boschive, delle campagne, della fauna selvatica. Sono mesi che non piove nelle nostre zone e continuerà ancora per molti giorni. Di là delle Alpi piove da mesi senza interruzione, anche con fenomeni estremi come è successo recentemente in Germania, Olanda, Belgio, Austria. Intere regioni distrutte dalla furia delle acque. E quando scende l’acqua, affiorano i morti.
Definire tutto questo con il termine climate change è corretto ma non rende abbastanza l’idea. Dobbiamo iniziare a parlare di crisi climatica perché il clima è sempre cambiato, ma non così in fretta. I danni più grossi, evidentemente, sono in presenza di infrastrutture rigide e complesse come sono le città e i sistemi produttivi ai quali i Paesi più industrializzati sono abituati.
La stessa Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che «la scienza dimostra che con il cambiamento climatico vediamo sempre più fenomeni meteorologici estremi, che durano più a lungo. Episodi simili ci sono stati in passato, certo, ma gli scienziati dicono che l’intensità e la durata di questi nuovi eventi sono una chiara indicazione del cambiamento climatico. Questo ci mostra quanto sia urgente agire». Sì, ma come?
In questo senso si muovono ormai da anni diversi trattati internazionali, tra cui il più famoso è l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, che fornisce un quadro credibile per raggiungere la decarbonizzazione con obiettivi a lungo termine e individuando una struttura flessibile basata sui contributi dei singoli governi. I governi firmatari, infatti, si sono impegnati a limitare l’aumento della temperatura al di sotto di 2° centigradi rispetto ai livelli preindustriali con sforzi per rimanere entro 1,5° al fine di raggiungere la carbon neutrality nella seconda metà del secolo.
Non ci si pensa mai, ma c’è un legame molto stretto anche tra ambiente e pandemie, perché l’inquinamento è una delle cause primarie delle zoonosi degli ultimi secoli. Colture e allevamenti intensivi (vedi la deforestazione amazzonica per fare spazio ai campi di soia e all’allevamento di bovini), commercio di animali esotici, interventi urbanistici impropri e inquinamento dell’aria: ecco come l’uomo ha inesorabilmente alterato i delicati equilibri naturali e favorito la diffusione di pericolose zoonosi, malattie che passano dagli animali alla popolazione umana. Nuovi studi confermano che fra gli animali selvatici aumentano i casi di patologie correlate all’impatto umano sull’habitat. Con il rischio di ”salti di specie” che potrebbero compromettere anche la nostra salute.
Il Covid-19 è l’ultimo esempio devastante. Che ancora sembra non averci insegnato niente: piangiamo commossi davanti alle centinaia di morti per le alluvioni; si rimane insensibili di fronte ai milioni di morti causati dalla pandemia su scala mondiale. Anzi, l’unico interesse sembra essere quello di tornare a fare quello che si faceva prima, più di prima.
Le soluzioni per ridurre i cambiamenti climatici e abbassare il tasso di inquinamento, ci sono e passano per diversi livelli. A cominciare dalla strada da percorrere per la decarbonizzazione, che è ben chiara a tutti e si chiama transizione energetica: il passaggio da un mix energetico incentrato sui combustibili fossili a uno a basse o a zero emissioni di carbonio, basato sulle fonti rinnovabili. Le tecnologie per la decarbonizzazione ci sono, sono efficienti e vanno scelte come prioritarie. La scienza offre dati certi, proiezioni di scenari futuri studiati attentamente.
Sullo stesso piano di importanza sono i modelli di vita, cioè i comportamenti umani, modificati negli ultimi decenni dall’affermazione del sistema capitalistico che ha portato al cosiddetto consumismo. Le antiche civiltà non sprecavano nulla, non buttavano nulla e riusavano tutto. Oggi preferiamo comprare tutto nuovo e buttare quello che solo apparentemente giudichiamo vecchio, non più adeguato, non più di moda. Riempiamo mari e oceani di plastica, lasciamo immondizie perfino nello spazio intorno al Pianeta e sulla Luna.
Per questo la Terra si ribella e ci avverte: non c’è più tempo. Salvare il Pianeta significa salvare anche l’Uomo. Tutelare la salute del Pianeta significa tutelare anche la salute dell’Uomo.
Viviamo in un’epoca affascinante e terribile: la prima, perché il futuro è nelle nostre mani; la seconda, perché la nostra generazione ha il potere di distruggere tutto quello che proviene dal passato. Il cambiamento del clima non aspetta e non si ferma. Serve un cambiamento culturale forte, un vero e proprio mutamento di paradigma per tradurre in realtà ciò su cui tutti ormai sono d’accordo.
a/f