Siamo in autunno, stagione prevalentemente piovosa. Un tempo, ora non più. Il mese di ottobre ha cambiato completamente volto al meteo sull’Italia, dopo una seconda parte di settembre contrassegnata da frequenti fasi di maltempo e fresco. Ora l’anticiclone ha riconquistato il Mediterraneo e le temperature si sono impennate. La qual cosa fa piacere, perché ci risparmia di accendere i termosifoni, ma per l’ambiente è un danno. Specialmente dopo un’estate che ha segnato livelli record di caldo e di mancanza di piogge.
Per questo torniamo a parlare di emergenza climatica, dei suoi fenomeni e delle sue diverse connessioni.
Cominciamo dai colori dell’autunno, che rischiano di essere “sbiaditi”. La colpa è proprio della grande siccità registrata in varie parti del mondo questa estate. Solitamente le foglie, prima di cadere, assumono varie colorazioni: dal marrone ruggine all’ambra, dal giallo al rosso fuoco. Il cosiddetto “foliage”. La mancanza di acqua ha messo sotto stress gli alberi ed ha accelerato la senescenza delle foglie, che si seccano e cadono.
Un altro problema grosso è la guerra: una società ecologica non può contemplarla. Gli effetti delle attività militari in tempo di pace sono già importanti e, tra l’altro, secondo gli accordi internazionali, i governi non sono soggetti a vincoli di misurazione e di comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra del settore militare. In caso di guerra le cose ovviamente peggiorano moltissimo. Primo, per l’uso di mezzi militari alimentati da combustibili fossili, che provocano un aumento esagerato di CO2. Poi va tenuto in conto la sterilizzazione del suolo, perché le esplosioni bruciano tutto: uomini, animali e piante. I crateri che vengono lasciati dalle bombe modificano il terreno, spesso espongono la falda superficiale a gli inquinanti che sono rilasciati durante le esplosioni.
Ecco dunque come la crisi climatica diventa un parallelo della guerra e della conseguente crisi economica. Ma mentre le crisi economiche affondano le loro radici nel Novecento, la crisi climatica è la crisi del futuro.
Tutto questo ha portato a riflettere sulla necessità del risparmio energetico, sull’efficientamento e sulle spinte necessarie alla svolta per l’uso delle fonti rinnovabili. Ma c’è un nuovo fenomeno che sta venendo avanti prepotentemente: la povertà energetica. Negli ultimi tempi, essa ha occupato un posto centrale nell’Agenda Europea, dove si parla di poverty energy o fuel poverty. Sebbene non sia stata ancora elaborata una definizione comune di povertà energetica, con questo termine viene indicata l’impossibilità da parte di famiglie o individui di procurarsi un paniere minimo di beni e servizi energetici. Le conseguenze sono negative sul livello di benessere e quello di inclusione sociale. Quando parliamo di servizi energetici, ci riferiamo a quei servizi fondamentali che occorrono per assicurare uno standard di vita dignitoso, quali: riscaldamento, raffreddamento, illuminazione, gas per cucinare nelle abitazioni e l’opportunità di accesso alle risorse energetiche. Tra le cause individuate risulta una combinazione di redditi bassi, una spesa per l’energia elevata e un’esigua efficienza energetica nelle case. La povertà energetica ha gravi conseguenze anche su altri aspetti della vita quotidiana: ad esempio sulla salute. Le persone in questa condizione sono più esposte ai rischi di malattie respiratorie e malattie mentali.
Non illudiamoci che stiamo tutti bene: anche a San Marino ci sono sacche di povertà che continuano a crescere. E allora cosa si può fare? Ci sono così tanti allarmi dai media che ottengono il solo risultato di metterci in un discreto stato di ansia, perciò preferiamo ignorarli pur di vivere tranquilli, perseverando in abitudini dannose per l’ambiente. Invece, proprio da queste informazioni è necessario capire che non è utopia considerare il cambiamento climatico come qualcosa di competenza anche del singolo e non solo di grandi aziende, industrie, Stati.
a/f