Sembra ormai abbastanza sicuro: sotto l’albero di Natale i sammarinesi troveranno il decreto con il rincaro delle bollette.
C’era da aspettarselo, in tutta Europa il costo delle materie prime ha cominciato a correre già da settembre e le diverse amministrazioni dei vari Paesi hanno provveduto subito ad aggiornare i prezzi, poi magari studiando i possibili correttivi per andare incontro alle fasce sociali più deboli e rivedere tutto il sistema delle accise.
San Marino ha una situazione tutta particolare, ben diversa dal settore Energy & Utilities degli altri Paesi, in quanto l’azienda erogatrice di servizi è di natura pubblica, non privata, la qual cosa ha sempre condizionato l’equilibrio costi-benefici. Pertanto, non ha mai adottato degli automatismi per l’aggiornamento dei prezzi sulla base dei costi di fornitura, di realizzazione e di manutenzione delle reti di distribuzione. Il criterio seguito negli anni passati è sempre stato quello del “prezzo politico”, che in qualche maniera ha sempre agevolato l’utente piuttosto che il mero calcolo tra costi e ricavi. Basti pensare che il costo delle bollette è fermo al 2011 per l’acqua; il gas e la luce hanno le tariffe ferme al 2013; quelle delle acque reflue al 2016 e quelle sui rifiuti addirittura al 2007. Se ci fossero stati aggiornamenti periodici, il male sarebbe sicuramente meno grave.
Pur con tariffe inadeguate, AASS è sempre stata un’azienda florida, cioè con importanti avanzi di gestione derivanti dal trading energetico, che coprivano anche i settori in continuo disavanzo: dai trasporti al servizio di macello pubblico. Finché non è stata “spolpata” da alcune politiche dissennate di anni piuttosto recenti. Viene quasi il dubbio che ci sia stata una qualche “manovra” per soppiantare l’AASS da una “multiutility” privata. Non si riesce a capire infatti come abbia fatto l’Azienda a passare da bilanci con attivi milionari, che avevano permesso l’accumulo di un vero tesoretto, a bilanci che faticano a segnare il pareggio. E ora, addirittura con il rischio di un disavanzo di oltre 26 milioni euro, dovuto agli aumenti di costo delle nuove forniture. Una cifra enorme, che non verrà pareggiata neppure con un eventuale aumento delle bollette pari al 40 per cento, come viene ventilato da più parti. Questa percentuale arriverebbe a coprire sì e no una ventina di milioni dei nuovi costi.
Se tutto ciò fosse vero, andremmo ben oltre al concetto: “basta con l’assistenzialismo”. Sarebbe probabilmente necessario che la politica facesse luce su quali ingranaggi si sono inceppati e per quale motivo, che correggesse le distorsioni e solo dopo provvedesse a un calcolo delle bollette adeguato ai costi effettivi. Nessuno vuole immettere acqua in un secchio sfondo.
In questo ci conforta quanto affermato dal Segretario alle Finanze Marco Gatti in Commissione Finanze, il quale ha rassicurato: “Il bilancio dello Stato ha interventi straordinari sul sistema finanziario con peso importante, lì si cercherà di trovare la soluzione per un punto di equilibrio”. E ci rincuora il suggerimento di un’altra forza politica di maggioranza, il Movimento Rete, il quale auspica aumenti progressivi, calcolati sui consumi: “Chi più consuma, più paga”. Esattamente lo stesso concetto introdotto nel nuovo Codice Ambientale sulle acque reflue. Rete aggiunge: “Non è più possibile ragionare sulla base di emergenze: è necessario capire come si è giunti a questa situazione e fare emergere le responsabilità, ove presenti”.
Dopo di che, il progetto di investire sul fotovoltaico per sganciare il Paese dalla necessità di rifornimenti esterni e produrre autonomamente energia pulita, è l’altro imperativo più urgente che mai.
Nel frattempo, le ultime notizie provenienti dalla BCE prevedono un rientro dei prezzi delle materie prime nei primi mesi dell’anno prossimo. Non ci sarà però una riduzione dell’inflazione. Quindi la storia è tutta da scrivere.
a/f