San Marino. Cento anni di Siddharta: un romanzo che ha segnato un’epoca, talismano di intere generazioni … di Alberto Forcellini

Per Siddharta, cent’anni di gratitudine. Chiunque, almeno una volta nella vita ha sentito parlare di quel leggendario monaco che visse tra il VI e il V secolo a.C. in India. I concetti predicati sono l’illuminazione, il Nirvana e la “via di mezzo”. Stiamo parlando proprio di lui: Siddhartha Gautama, conosciuto ai più come Buddha, fondatore del buddismo, reso famoso dallo scrittore Hermann Hesse, premio Nobel per la letteratura.

Ci sono tanti libri da leggere, infiniti si potrebbe dire, e non basterebbe una vita per leggerli tutti, ma è pur vero che ci sono anche quelli che vanno assolutamente letti e raccolti. Questo in particolare andrebbe riletto in età diverse in quanto, come qualsiasi altro libro, può donare insegnamenti, riflessioni e intuizioni sempre nuove e importanti.

Ambientato in India, narra la storia del giovane Siddharta, ragazzo indiano in cerca di se stesso. Tante sono le avventure, i cambiamenti di rotta, le persone incontrate, le esperienze vissute dal giovane e innumerevoli le cadute, i ripensamenti, le fatiche del cuore. Ma ogni vicenda è un tassello che va a comporre la sua consapevolezza e come tale è da lui benedetta. Nel libro, Hesse descrisse in “veste indiana” il proprio percorso di sviluppo nella ricerca di una saggezza e religiosità sovradimensionale, che fu la ragione del successo del libro presso il pubblico mondiale.

Il giovane Hermann Hesse, originario della Germania, aveva un carattere difficile, che mal sopportava il clima religioso e oppressivo imposto in una famiglia, nella quale l’unica boccata d’aria sembrava provenire dal nonno, missionario pietista in India e con una vasta biblioteca di letteratura orientale. Hesse, che pure, come testimoniano i successivi capolavori, tra cui “Narciso e Boccadoro” (del 1930), ha sempre sentito una forte tensione spirituale, tuttavia non ha mai compreso la religione degli uomini: le grandi chiese, che pure gli incutevano rispetto, erano per lui il simulacro di un potere che come ogni cosa umana era inevitabilmente macchiata da sangue, violenze e dolori. Quando i genitori provarono a mandarlo in seminario, non resistette più di pochi mesi: fuggì, tentò il suicidio (che non avvenne solo perché la pistola si inceppò), facendo capire che l’ordine degli uomini e gli studi teologici lo ingabbiavano.

Un altro episodio, più tardi, lo segnò profondamente: la separazione dalla prima moglie malata di schizofrenia. I tre figli avuti da lei furono dati in affidamento. Dopo un viaggio in India, Hesse scelse la Svizzera come luogo del cuore e della mente, alternando solitudine e riflessione. Talvolta mangiava solo le poche castagne che riusciva a trovare nel bosco. La sua vita psichica fu una specie di altalena, come quella matrimoniale (avrà altre due mogli). Fortemente depresso (le sue cupe riflessioni vengono riportate nel “Lupo della steppa” del 1927). Hesse entrava e usciva da periodi di crisi, riportando qualche beneficio soltanto dall’analisi sostenuta nel 1919 con Jung, di cui anni dopo diverrà caro amico e che nella sua tecnica psicoanalitica inserisce svariati elementi orientali, tanto cari all’immaginario di Hesse.

Siddharta, che scrisse nel 1922, intorno ai 45 anni, è un po’ il racconto della sua vita, o meglio della ricerca della via verso la realtà più profonda della felicità. Grazie allo stile inconfondibile che tesse sapientemente prosa e lirismo, questo romanzo è diventato un classico della letteratura nonché il titolo di Hesse più apprezzato dal pubblico giovanile. E non solo. I temi trattati, come appunto la ricerca di sé, il rifiuto dei beni materiali, l’inquietudine spirituale, invitano il lettore a cercare la propria strada verso la saggezza. Le suggestioni della religiosità indiana si mescolano alla sensibilità culturale europea (in particolare a quella dei libri di Arthur Schopenhauer, il primo pensatore occidentale a portare l’attenzione sulle dottrine orientali). Partendo da questa combinazione, Hesse scrisse un’opera insuperata, semplice nella lingua ma ricchissima di spunti di riflessione che, attraverso la parabola romanzesca è riuscita a parlare a tutte le generazioni che sono seguite. Per cento anni. E altri ancora.

a/f

Nell’immagine: Museo Hermann Hesse Montagnola (Svizzera)