SAN MARINO – “Appurato che, sentiti tutti i teste di accusa che hanno contribuito a definire gli atti, non emergono reati concreti né indagini mirate svolte ad appurarli, chiedo l’assoluzione di Fiorenzo Stolfi, o in subordine lo stralcio da questo procedimento e la conseguente assoluzione per non aver commesso il fatto”. E’ il pomeriggio quando l’Avv. Simone Menghini, sferra l’ennesimo attacco all’autorevolezza delle indagini che hanno portato all’istruzione del primo maxi-processo sammarinese, evidenziando l’infondatezza delle accuse relative al “fascicolo sette” che è parte delle accuse all’Ex Segretario di Stato oggi alla sbarra.
Infatti, anche in questo caso, come emerso per altri dei 21 imputati, le analisi dei testimoni -addirittura citati dall’accusa- ha reso palese l’inconsistenza di almeno parte deli atti istruttori. Starà ora al giudice Gilberto Felici valutare la richiesta del difensore.
La giornata di ieri, la prima delle tre fissate per questa settimana, ha riservato davvero tante sorprese e un “quasi giallo”. Durante le perquisizioni condotte alla Finproject -nucleo dell’intera inchiesta denominata Mazzini- gli inquirenti avrebbero, come ha spiegato l’ispettore di Banca Centrale Patrizio Ettore Cherubini, incalzato dai legali di Claudio Podeschi, rinvenuto nel caveau una busta con scritto, sopra, il nome “Podeschi”, poi ricondotto al Ministro Claudio Podeschi. Una riconduzione contestata dagli Avv. Annetta, Pagliai e Campagna, i quali -spingendosi forse oltre il merito processuale- hanno incalzato il teste per capire i motivi per cui la finanziaria detenesse un “dossieraggio” -così lo ha testualmente definito Annetta- presumibilmente su un Ministro all’epoca dei fatti in carica. A rendre ancora più inquietante questa vicenda è poi il uogo del ritrovamento: non una scrivania, uno scaffale, ma il caveau, dove si custodiscono, notoriamente, le cose più preziose.
Sta di fatto – sempre riferendoci agli atti processuali- che questo “dossier” è riemerso molti mesi dopo il sequestro, in seguito ad una interpellanza parlamentare presentata dal consigliare Francesca Michelotti che avrebbe “dato il là” alla trasmissione del fascicolo ai magistrati inquirenti.
Un mezzo “giallo”, poi ruota attorno all’appartamento urbinate di Pier Marino Menicucci, secondo gli atti di accusa, fonte di riciclaggio perchè fondo proprio nell’investimento immobiliare al WTC. “Ma -ha fatto notare l’Avv. Maurizio Simoncini- quell’appartamento è oggetto di un sequestro cautelare fatto al mio assistito… Come può averlo prima venduto?”.
Licenziato Cherubini, sul banco dei testimoni è sfilato Domenico Cavuoto, direttore del carcere durante la detenzione di Podeschi e di Biljana Baruca. E anche la sua testimonianza si è rivelata una bomba che non potrà non avere peso nel relativo ricorso pendente alla Corte dei Diritti Umani.
Seppure il teste, in precedenza, avesse affermato che non erano intercorse comunicazioni -definiamole- “informali” fra lui e i magistrati, i legali di Podeschi hanno estratto un asso dalla manica e “sventolato” in Aula una lettera che Cavuoto ha inviato al Magistrato per denunciare quelle che secondo lui erano “condizioni di detenzione disumane”. Il teste ha confermato la veridicità del documento prodotto dal difensore riconoscendone i contenuti e giustificandosi affermando che era stata scritta in un momento particolare, ovvero successivamente all’arresto del suo collega Mazzocchi. Lettera che, sempre stando alle risposte fornite in Aula, non avrebbe ricevuto risposta e quelle condizioni di carcerazione definite “disumane” dal Direttore del carcere sono perdurate per altri mesi e mesi…
Enrico Lazzari, La Voce