San Marino. Ci sono temi tabù per cui o li racconti in un certo modo o finisci subito dalla parte di negazionisti – “Qui gatto… ci cova” la rubrica di David Oddone

Mentre in questo emisfero siamo in tutt’altre faccende affaccendati – tutte sicuramente importantissime, per carità – negli States sta andando in scena un acceso dibattito sulla libertà di parola e sulla censura sui social media.

Superfluo rammentare che su questa battaglia e sul suo epilogo, si giocherà gran parte del futuro della democrazia. Chiaramente non solo negli Usa.

La scorsa settimana, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha bloccato una legge del Texas che cercava di impedire ai giganti tecnologici Twitter e Meta – che possiede Facebook – di regolamentare i contenuti sulle loro piattaforme. In sostanza, ciò significava che i social media e le aziende tecnologiche non avrebbero potuto vietare o censurare commenti e post.

Alcune aziende tecnologiche che hanno presentato ricorso alla Corte Suprema ritengono che la legge texana tolga alle aziende private il potere di decidere quali contenuti pubblicare sulle loro piattaforme.

Le grandi aziende tecnologiche sostengono inoltre che il Texas ha vietato loro di rimuovere, ad esempio, post di incitamento al nazismo dalle loro piattaforme.

Appare evidente come la questione sia molto politicizzata, d’altra parte non potrebbe essere altrimenti.

E’ tuttavia opinione di parecchi – anche del sottoscritto – che alcune decisioni vengano prese arbitrariamente e in base a ciò che si pensa sia meglio per i propri profitti. Difficile credere che Facebook e Twitter possano effettivamente esprimere giudizi coerenti, distaccati ed equi su ciò che dovrebbe essere pubblicato.

Allo stesso tempo il sacrosanto diritto di espressione viene oggi minacciato perché è un fatto che sui social media l’incitamento all’odio e la disinformazione siano proliferati.

A proposito di fake news – vero e proprio cavallo di battaglia dei novelli censori – bisogna fare parecchia attenzione.

Esse rappresentano senza ombra di dubbio la vera piaga dei nostri tempi.

Ma non devono essere utilizzate come una clava per zittire il dissenso o per fare passare per matto chi la pensa diversamente o ricerca verità alternative (e scomode).

Oggi la cosa realmente più scioccante è che per rendere “innocuo” un libro non c’è nemmeno più bisogno di bruciarlo.

Stanno nelle vetrine delle librerie e spesso lì restano fino a che decidiamo di comperarli – non di leggerli – perché li abbiano sentiti raccontare nella cornice di un evento à la page.

Piace molto andare a sentire Galimberti e seguire gli eventi che riguardano il giorno della memoria.

Statisticamente però quanti avranno letto Levi? Egli spiegava che quando l’obiettivo è annientare popoli e persone, essere illogici è fondamentale. Non importa dunque se i libri raccontano tutto il contrario di quel che viene riferito al pubblico.

Va a sapere se chi relaziona certe cose davvero non ha compreso o ha soltanto fatto finta di non capire per non trovarsi, la prossima volta, a dover restare a casa.

Ci sono temi tabù per cui o li racconti in un certo modo o finisci subito dalla parte di negazionisti e compagnia bella.

Una storia vecchia peraltro già raccontata da Pasolini nelle sue Lettere Luterane: “nessuno ha mai risposto a queste mie polemiche se non razzisticamente, facendo cioè illazioni sulla mia persona. Si è ironizzato, si è riso, si è accusato. Ciò che io dico è indegno”.

Credo non serva spiegare oltre il senso di questa breve divagazione.

Tornando ai social, come ho già avuto modo di scrivere, appare evidente come la questione vada sollevata, se ne debba parlare il più possibile ed accendere i riflettori.

Questo per innescare un dibattito globale che dovrebbe vederci in prima linea perché riguarda da vicino ognuno di noi.

David Oddone

Rubrica “Qui gatto… ci cova”