San Marino. Ciavatta-Bruschi, l’accoppiata che passerà alla storia per aver “distrutto” l’assistenza medica territoriale? Solo un “rimpasto” di governo potrà salvare San Marino dal crack economico? … di Enrico Lazzari

Enrico Lazzari

Se, come spiegato alcuni giorni fa, lo scontro intestino al Congresso di Stato, culminato con le dimissioni “non irrevocabili” e poi revocate del Segretario di Stato alla Sanità, Roberto Ciavatta, evidenzia un pericoloso clima di tensione interno all’Esecutivo che -in quanto tale- rischia di compromettere l’intera azione di governo e sembra poter rientrare solo con la sostituzione dell’attuale Ministro della Sanità (peraltro già bersaglio, nella primavera scorsa, di parte del suo stesso partito), i motivi che alimentano le ragioni di chi -per ora solo “sommersamente”- vedrebbe di buon grado anche all’interno di Rete e della maggioranza una sua sostituzione nella squadra di governo sembrano essere molteplici.

L’attualità ci evidenzia la controversa e onerosa operazione Bevere -tecnico italiano di area, diciamo usando un termine anni 80, democristiana-, sembrerebbe esser stata “digerita” da Ciavatta perchè messo di fronte dagli alleati ad un bivio che portava a due uniche destinazioni, l’italiano o Rabini.

Ma le mancanze in materia sanitaria accresciute ai tempi dell’ex Dg Iss Bruschi, non contestato o forse, probabilmente, “gradito” se non addirittura indicato, sono “pesanti”, inasprite poi dall’emergenza pandemica dove alcuni servizi sono risultati praticamente compromessi.

“…L’assenza prolungata dei medici di medicina generale dalle relative condotte – si legge nella relazione Rabini-Forcellini redatta per la riorganizzazione dell’Uoc- verificatesi durante l’emergenza pandemica per i trasferimenti al gruppo Covid territoriale e per lunghi periodi di malattia degli stessi, ha disorientato la maggior parte dell’utenza venuta a meno dei propri punti di riferimento sanitari”. Pure questa conseguenza, vien da concludere, di una insufficiente lungimiranza nella gestione sanitaria che, nell’incapacità di adottare misure capaci di tutelare servizi essenziali, ne ha sacrificati alcuni per affrontare l’emergenza pandemica.

Se la situazione era di per sé grave a causa del Coronavirus, questa incapacità programmatica nella gestione, unita, come si legge nella stessa relazione, alle “richieste di pensionamento da parte di tre medici e le dimissioni di altri tre legate ad evidenti condizioni di burn-out (una patologia nervosa propria dei sanitari legata allo stress), hanno generato la tempesta perfetta che ha travolto” l’assistenza territoriale, arrivando a compromettere o limitare fortemente l’efficacia di quel servizio sanitario essenziale in ogni comunità.

E pensare che da fine gennaio 2021 ai primi del successivo mese di luglio, sono state ben 15 (mediamente una ogni 12 giorni) le “campanelle” di allarme “suonate”, le comunicazioni scritte evidenziate nella relazione, per segnalare pesanti criticità. Fra queste si evidenzia quella datata 17 marzo 2021 in cui si denunciava la “chiusura ambulatori periferici per mancanza sostituzioni personale”, o quella datata 30 marzo 2021 in cui si chiedeva di trasferire sede e competenze della guardia medica centrale per “irreperibilità di personale medico”.

Certo, si era in emergenza Covid… Ma in un anno, da tanto durava l’emergenza, non si è riusciti a prevedere e rimediare? Già queste mancanze, da sole, in altri paesi, avrebbero indotto i responsabili alle dimissioni. Dimissioni che sono giunte, tempo dopo, dal Direttore Generale Iss ma non ancora dal suo “superiore”… O, perlomeno, sono arrivate sotto Natale ma essendo “non irrevocabili”, sono state revocate.

Fra una mancanza e l’altra si è quindi arrivati, nella medicina territoriale, a creare, fra le altre, due pesantissime criticità all’utenza:
– l’estrema difficoltà a contattare i centri salute per poter interloquire con il medico, infermiere o segreteria;
– l’assenza del proprio medico o infermiere, ovvero il medico di condotta, caposaldo e rassicurante elemento di garanzia per il cittadino, e la grande difficoltà a reperire personale sanitario ad hoc per sostituirli.

Dunque, la gestione sanitaria, almeno fino alle dimissioni dell’ex Dg Bruschi, appare essere l’aspetto peggiore di tutta l’attività, non certo esaltante nel complesso, di questo governo che ha succeduto Adesso.sm, a sua volta “spettatore” impotente -per usare un termine non compromettente- di una radicata occupazione della cosa pubblica ad opera di un gruppo di potere denominato -dalla Commissione di inchiesta- “cricca” e in un recente ordine del giorno consigliare addirittura “associazione a delinquere”.

Ora, con la pandemia che sembra alle sue battute finali e il rilancio ineludibile, il governo non ha più scuse per ritrovare quella progettualità necessaria a salire sul treno della ripresa che, per San Marino, viste le critiche condizioni economiche in cui è piombato negli ultimi 10 anni, se “perso” potrebbe significare il fallimento economico e, quindi, il dramma sociale già vissuto anni fa al di là dell’Adriatico.

Condizioni essenziali perché questo imprescindibile “treno” possa venire agganciato a suon di riforme capaci di superare tutte le criticità che hanno determinato la pesante crisi è un governo coeso, privo di tensioni interne e forte di Segreterie di Stato efficienti e capaci di avvalersi di consulenti autorevoli e preparati, meglio se “non parenti”… “Qualità”, queste, che, oggi, sembrano irraggiungibili senza almeno un piccolo “rimpasto”, viste le ormai celebri, quanto per certi versi grottesche, dimissioni “non irrevocabili”…

Enrico Lazzari