Mercoledì 22 marzo – 16:50 circa – sto percorrendo in bici via Mazzini arteria centrale di Faenza. All’altezza del Palazzo delle Esposizioni mi superano tre auto. La terza un Bmw targato San Marino mi stringe sulla destra. Passo a misura rischiando di cadere. L’auto mi supera, io alzo un braccio e gli chiedo a gran voce se mi avesse visto.
L’auto dopo pochi metri mette l’indicatore per svoltare a sinistra (Piazza 2 Giugno). Rallenta, si ferma, lo raggiungo. Gli dico “coglione ma non mi hai visto?”. Lui tira giù il vetro e “vaffanculo eri in mezzo alla strada”. Ribadisco che no (il codice della strada considera la bici come un mezzo atto alla circolazione) lui smonta dall’auto sbraitando che “ti gonfio come un pallone”. Prima di questo effettua la classica manovra con accelerazione e frenata per mettermi sotto. Siamo sulle righe perdonali tra l’altro. Scende bofonchiando “ti gonfio, ti smonto, ti…” qualcosa d’altro, mi afferra con una mano per il giubbetto e con l’altra inizia una sorta di schiaffeggiamento. Il primo colpo mi prende, lieve, il secondo lo schivo. Faccio presente che ho una protesi agli occhi, lui continua con il suo linguaggio e il conseguente atteggiamento da duro. Dall’altra parte del marciapiede si avvicina un signore (50/60), con il braccio alzato gli dice “ma che fai? Le botte no! Non vedi che è un anziano”.
La bici è tra me e lui, gli impedisce i movimenti. Capisco dai suoi occhi che fa sul serio, ha le pupille degli occhi dure, scure, convinte; un pugno, che aspetto che parta da un secondo all’altro, in faccia mi avrebbe fatto danni seri. Lui mi molla si dirige verso quell’altro e con fare amichevole gli mette un braccio sulla spalla poi gli sussurra “ciccio fatti i cazzi tuoi, prima gonfio lui poi gonfio te che alla fine non sai nemmeno come ti chiami”.
Esattamente non ricordo il seguito: frasi da duro, tipiche di certi ambienti dove la violenza è abitudine. Sale e sparisce con stridio di gomme. Ora il signor CICCIO – dal numero di targa bianco azzurra di San Marino – che fosse fatto come una pera (non puzzava di alcol) o incazzato perché l’amante non gli ha concesso i favori è il classico pericolo pubblico che non aveva tutti i buoni motivi per un’aggressione che da verbale si stava trasformando in fisica se io – e quell’altro tizio venuto in aiuto – avessi proseguito nelle mie rimostranze. Immaginate di avere un diverbio con signor CICCIO in un parcheggio scarsamente illuminato o su una strada secondaria per una banalità come questa. Diventereste dieci righe di cronaca locale. Pestato di brutto da un giovanotto sulla trentina, rapato a zero, viso tondo, occhi scuri, ben vestito, messo bene fisicamente, alto poco meno di 180 cm, convinto dei propri muscoli e della propria dialettica, con un costoso paio di occhiali neri e oro dalla montatura tonda. Non ne faccio una questione di razza, religione, nazionalità perché so che la madre degli imbecilli è sempre incinta. Invito quelli che mai incrociassero CICCIO di evitare qualsiasi diverbio per non diventare cronaca da quotidiano locale. CICCIO è un vero duro.”
