Il 30 aprile scorso 2014, San Marino ha finalmente firmato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, più conosciuta come Convenzione di Istanbul: l’atto, è stato materialmente espletato dall’Ambasciatore Barbara Para, Rappresentante Permanente per la Repubblica di San Marino, presso il Consiglio d’Europa, alla presenza del Segretario Generale Aggiunto del Consiglio d’Europa Gabriella Boattini Dragoni. Diviene il 34° Stato Firmatario, atto che anticipa la successiva ratifica della Convenzione da parte del Consiglio Grande e Generale, che consentirà, dopo gli opportuni adeguamenti della nostra normativa in materia; la Legge n°97 del 2008 e il Decreto Delegato n°60/12, di recepire il testo della Convenzione.
Grazie alla recente ratifica della Danimarca, di Andorra e del Montenegro, ultimi 3 Paesi a farlo e che hanno portato ad 11 gli Stati Parte ratificanti, il testo convenzionale diverrà Legge in tutto il territorio europeo e segnerà un passaggio significativo dal punto di vista normativo.
Questa importantissimo risultato, è conseguenza anche della costante attenzione che le forze politiche la alcuni rappresentanti della società civile hanno messo in campo, attraverso sollecitazioni significative, che ha visto l’interessamento trasversale della politica per il conseguimento di questo fondamentale obiettivo, sfociato nell’Ordine del Giorno de 26 settembre 2013, approvato all’unanimità e sostenuto appunto da tutti i Gruppi Consiliari e Indipendenti, che indicava al Congresso di Stato, di procedere celermente alla firma.
Nella sensazione di grande soddisfazione per questo importante risultato, rimane una punta di rammarico per non aver provveduto a tale atto in tempi rapidi; ciò ci avrebbe senz’altro consentito di essere il 10° Stato Ratificante, dati i tempi relativamente celeri della nostra politica, testimoniando l’inclinazione della nostra piccola ma millenaria Repubblica, verso la preservazione, la difesa ed il consolidamento dei diritti delle persone, tratto distintivo che ci ha visto, nei secoli, difensori delle libertà e della pace.
Dal 2006 al 2013 in Italia sono state uccise 1042 donne, con uno spaventoso trend di crescita; infatti, se nel 2005 le vittime erano 84, nel 2013 queste sono diventate 134, vittime prevalentemente dei propri compagni: l’identikit disegna un uomo culturalmente formato, tra i 35 e i 55 anni, italiano, residente principalmente al Nord: la Lombardia è al primo posto in questa orribile statistica, tra le cause imputabili- anche se davanti ad un femminicidio, non vi possono essere scusanti di alcun genere- la recente crisi economica, che porta allo stremo le relazioni coniugali e che vede coinvolti spesso anche i figli, vittime a loro volta dell’incapacità di affrontare le difficoltà, l’incomunicabilità, esposti al “contagio” di comportamenti aberranti di prevaricazione, violenza, fino all’omicidio
La vittima è la parte debole della coppia, che diviene carne su cui sfogare rabbia, frustrazione, passionalità deviata, condizionamento culturale, dove è assente l’identificazione dell’altro come portatore alla pari di medesima condizione di diritti; questi numeri purtroppo ci consegnano un profilo che ci disorienta e che ci conferma che, oltre a modificare significativamente un modello culturale patriarcale che alimenta il non riconoscimento della donna come pari, vanno messe in campo misure di prevenzione, di informazione, dove la scuola dovrebbe divenire punto di riferimento della informazione corretta, fin dalle primissime età, senza timori ne infingimenti; adeguando il messaggio alle età, somministrando informazioni che l’ambito scolastico, luogo di formazione e di apprendimenti per eccellenza, potrebbe veicolare con migliore incidenza, facendolo diventare tratto educativo e civico, con cadenza regolare e monitorandone le ricadute. Siamo di fronte ai dati di una guerra silenziosa e pericolosissima, che vede maschi e femmine ancora troppo spesso relegati in vecchi ruoli disegnati da insensati canoni culturali, ruoli che devono necessariamente essere abbandonati onde creare quelle condizioni culturali che permettano il riconoscimento della condizione di portatrici naturali di diritti, ed in quanto tali, nessuno ce li deve riconoscere: ci appartengono.
Mimma Zavoli
Movimento Civico 10