San Marino. Cop 29: caldo, alluvioni, incendi, cicloni sono la nuova realtà, ma i negazionisti continuano a rimandare le decisioni più importanti … di Angela Venturini

Troppe volte abbiamo visto le risoluzioni della Cop (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) bellamente eluse dai Paesi più ricchi e aspramente criticate da quelli più poveri. Tutti parlano di sviluppo, nessuno parla di progresso perché il progresso implica un percorso di sistema, dove tutti sono coinvolti e tutti ne godono i benefici. Lo sviluppo invece riguarda principalmente quelle innovazioni tecnologiche che favoriscono l’aumento del capitale. Non è un caso che proprio i Paesi più ricchi e avanzati siano tra i negazionisti dei cambiamenti climatici dovuti all’aumento delle emissioni di CO2; altrettanto lo sono in Paesi più poveri, che reclamano il loro diritto a diventare ricchi. 

È a cominciare da queste ragioni che il 2024 andrà in archivio come l’anno più caldo da quando è cominciata l’era industriale, ovvero dal 1760, con l’invenzione della macchina rotativa a vapore e di nuove tecnologie tessili e metallurgiche. La segreteria generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, nel rapporto di aggiornamento sullo stato del clima, pubblicato in occasione della prima giornata della Cop29 a Baku in Azerbaigian, fa presente che è stata superata di 1,5 gradi centigradi la soglia di aumento medio delle temperature rispetto ai livelli pre-industriali. Il dato spiega, insieme ad altri fenomeni, gli eventi catastrofici a cui assistiamo con sempre maggiore frequenza: dall’Emilia Romagna a Valencia. Qui in particolare, la furia degli elementi è stata amplificata dalla mancanza di interventi tempestivi e dalla totale assenza di sistemi di Protezione Civile altamente organizzati ed efficienti, come in Italia ad esempio, a cui ormai si affianca validamente anche San Marino. 

“La catastrofe climatica sta martellando la salute, ampliando le disuguaglianze, danneggiando lo sviluppo sostenibile e scuotendo le fondamenta della pace” ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres in occasione della prima giornata della Cop29 in corso a Baku in Azerbaigian dall’11 al 22 settembre. “I più vulnerabili – ha rimarcato Guterres – sono i più colpiti”.

La violenza dell’impatto climatico è in crescita oltre ogni previsione. Le vittime di Valencia sono paragonabili a quelle delle guerre in corso e l’impatto sulle emigrazioni è tutto da quantificare. Preoccupa però il diffondersi di una forma di rassegnazione che, pur se alimentata dal ricco sistema mondiale dell’oil and gas e fatta propria in Occidente da taluni schieramenti politici, rischia da sola di vanificare lo sforzo immane profuso in trent’anni nel negoziato internazionale multilaterale sul clima.

In particolare, quest’anno i negoziatori delle 198 Parti dovranno trovare un accordo sulla definizione di un nuovo obiettivo per la finanza climatica, l’Ncqg, New Collective Quantified Goal. In pratica, il finanziamento annuale che viene destinato dai Paesi più ricchi per gli aiuti ai Paesi vulnerabili contro gli effetti del cambiamento climatico. L’obiettivo di Baku è superare la quota di 100 miliardi di dollari fissata alla Cop16 di Copenaghen nel 2009 per il periodo 2010-2025. Occorre definire un nuovo target e un nuovo modello di finanziamento, che spazi da risorse pubbliche ai finanziamenti attraverso le Banche Multilaterali di Sviluppo, fino ai contributi del settore privato.
Molti analisti hanno ipotizzato che la Cop di quest’anno possa essere poco rilevante, in attesa di quella dell’anno prossimo, la Cop30 in Brasile, dove gli stati dovranno aggiornare i loro impegni di decarbonizzazione, gli Ndc (National determined Contributions). Insomma, c’è il solito rischio di un “nulla di fatto”.

Eppure, se gli Stati sembrano affrontare con preoccupante superficialità i temi legati ai cambiamenti climatici, i cittadini invece sembrano sempre più sensibili a queste tematiche, un po’ per loro personale tensione etica e culturale, un po’ perché le crisi di siccità, le ondate di calore e le alluvioni, possono colpire chiunque, dovunque. Territori devastati, paesaggi profondamente modificati, tessuti urbani e agresti interamente da ricostruire inducono a riflettere sui singoli comportamenti quotidiani: l’uso e l’abuso delle plastiche, il loro corretto smaltimento e riutilizzo; il risparmio delle risorse primarie come l’acqua, ma anche di gas e luce; il riciclo e riutilizzo di materie prime come la carta, il vetro e l’acciaio; la corretta gestione dei rifiuti e il non spargimento nell’ambiente; il rispetto di siti naturali come boschi, prati, fiumi, mare; l’uso di combustibili non inquinanti; l’acquisto di prodotti realizzati con materie e procedure green; una maggiore attenzione all’abbigliamento usa e getta: il riciclo e il riuso dei mille oggetti della nostra quotidianità. Si tratta in genere di piccole cose, ma sono segnali importanti che vengono dal basso (come si dice con terminologia politica) capaci di indurre ad un cambiamento anche le politiche dei “grandi”. Cominciare da noi stessi, è forse   l’unica speranza che abbiamo.

Angela Venturini