“La Colombaia potrebbe diventare un punto di ritrovo, di studio e di proposta delle associazioni culturali sammarinesi e degli universitari iscritti al nostro Ateneo, aggregando anche gli artisti e gli artigiani sammarinesi per stimolare comuni iniziative creative.”
“Il recupero della Colombaia deve partorire un luogo speciale anche sotto l’aspetto estetico, che abbellisca come un fiore all’occhiello questa via malinconicamente disadorna”
Tutte le volte che esco di casa (preferirei da casa) me la trovo davanti agli occhi: lei, Torre Colombaia (altrimenti detta Palombara, come attestano i catasti setteottocenteschi conservati presso l’Archivio di Stato).
Mi è sempre apparsa, chissà perché, come un’improbabile gigantesca marionetta seduta sopra un’antica cassapanca con schienale. Eretta nel secolo XV, così chiamata “forse dall’uso cui era adibita di nido o custodia di colombi”,inizialmente fortilizio e avamposto, la Colombaia è stata poi adattata ad abitazione per chi coltivava il piccolo podere circostante. E’ un edificio da restaurare e restituire con tutta la sua dignità e potenzialità ad una via (via Gino Giacomini) purtroppo realizzata quasi interamente in modo (per essere spudoratamente magnanimi) inadeguato. Strada stretta. Una serie disorganica di condomini, non allineati, di altezza diversa, con ingressi -alcuni- non a livello di strada. Scarsità di marciapiedi. Penuria di spazi per parcheggiare. Assenza di luoghi verdi per bambini e anziani. Eccetera, eccetera, eccetera.
Apriamo una parentesi. C’era-credo- per via Giacomini un progetto molto datato similare a quello di viale Antonio Onofri, con abitazioni a monte, e a valle: vista aperta sugli Appennini, viale alberato, marciapiedi degni di questo nome ed altri requisiti. In alternativa avremmo apprezzato a lato valle: un porticato che avesse unito il primo e l’ultimo fabbricato di via Gino Giacomini. Ciò avrebbe determinato uno sviluppo omogeneo e mirato a rendere più vivibile tutta la via, con riflessi positivi anche sulla sua estetica. Da questa impostazione andava esclusa, però, casa Mularoni. Una casa che, diciamolo francamente, non avrebbe dovuto essere costruita e che ha compromesso un armonioso e razionale collegamento fra via Cella Bella e via Giacomini e il loro proseguimento verso la Murata e altre direzioni. Una permuta nel rispetto delle parti fra lo Stato e la famiglia Mularoni, concepita magari con un po’ di generosità a favore del privato, avrebbe potuto risolvere la situazione. Così purtroppo non è stato. C’erano altre opzioni? La palazzina menzionata, signorile, soffocata da un lato da via Cella Bella, e dall’altro lato munita di una modesta porzione di terreno tappezzata di ingombranti conifere (alcune recentemente abbattute) e con accessi difficoltosi, forse non ha risposto appieno alle aspettative iniziali. E questo testimonia come il mancato accordo sul quale non ha soffiato il vento della lungimiranza (ma c’è stato un tentativo di accordo?) abbia alla fine penalizzato tutti: la cittadinanza e i proprietari dell’abitazione in questione.
Chiudiamo la parentesi, ormai sono vicende del passato anche se la mala gestione del territorio, che annovera una miriade sterminata di casi, si riverbera per sempre sulla vita dei cittadini (via Giacomini è in tal senso un esempio eclatante).
Il recupero della Colombaia deve partorire un luogo speciale anche sotto l’aspetto estetico, che abbellisca come un fiore all’occhiello questa via malinconicamente disadorna. A molti residenti piacerebbe eliminare il declivio appoggiato alla Colombaia e così pure la scarpata sul retro (salvaguardando ovviamente la salitella e la zona pianeggiante asfaltate e adiacenti a Palazzo Giovagnoli), isolando così la Colombaia e donandole, con un agiamento più ampio che apra a “possibilità” ulteriori, anche una visibilità più attraente. Andrebbero sradicati gli ontani ivi innestati, che rappresentano quella che fu una scelta impropria. Ameremmo sostituirli con ciliegi da fiore rosa, non escludendo dall’operazione il pino marittimo spennacchiato e cadente, ancorato in malo modo con un orribile filo di ferro sull’abitazione del Segretario di Stato alla Cultura Morganti. (Chi ha ancorato il pino nel tentativo di salvarlo? Il Segretario Morganti. Chi lo ha aiutato? Il sottoscritto. Bravi? Mah!). Naturalmente l’eliminazione sia del- la scarpata sia del pendìo dovrebbero prevedere interventi di sostegno ricoperti però dai sassi dei vecchi muretti, integrandoli, se insufficienti, con quelli eliminati in Via Paolo III, dove si è eretto un muro che sarebbe pregevole altrove, ma in quel luogo risulta fuori contesto. Il tempo, rendendo brune le pie- tre, sanerà completamente o mitigherà soltanto?
Tutto l’agiamento della Colombaia dovrebbe contemplare, anche sopra i muretti, l’installazione di balaustre graziose e solide. Auspicheremmo, inoltre, che i ciliegi da fiore fossero messi a dimora anche nell’aiuola adiacente al bivio con cui via Gino Giacomini confluisce in via Cella Bella, rimuovendo il cedro sopravvissuto e malandato colà ancora presente. Per l’interno della Colombaia abbiamo raccolto (parlando con molti residenti di tutte le età, e con altri cittadini, e con professionisti di vari settori) diverse proposte. Alcune bambine della via (iniziamo da loro perché queste soavi creature ci stanno particolarmente a cuore) gradirebbero un’esposizione di bambole d’epoca o una sulla storia delle bambole, anche se per questa tutto sarebbe di più arduo reperimento.
Oppure un’esposizione dedicata alle irresistibili 5 Winks, aspiranti fate, di Iginio Straffi, il loro ideatore, abitante non molto lontano da San Marino. Un’altra alternativa potrebbe essere costituita dalla mitica Barbie (L’Associazione -o Club ?- Nazionale Italiana della Barbie potrebbe fornire esemplari, oggettistica varia, consulenza e quant’altro); sempre per la gioia dei bambini: una Casa dei Puffi; o degli Elfi, o degli Gnomi, o delle Fate, o di un’appropriata coesistenza degli stessi. Che dire, poi, di un Museo delle Farfalle? C’è chi ipotizza una mostra permanente di oggetti artistici miniaturizzati (specializzata?). C’è chi sostiene una mostra permanente di frammenti di rocce lunari donati a San Marino dagli Stati Uniti d’America. Tale mostra è già stata organizzata per ben due volte all’interno della Porta del Paese. In entrambe le occasioni era stata avanzata la proposta di una mostra permanente che nella Porta del Paese aveva una sua indubbia suggestione, esplicitata in un manifesto redatto per la II edizione della mostra stessa e che qui di seguito riportiamo:
“L’antica Porta del Loco, oggi Porta del Paese o di San Francesco, è il principale accesso al centro storico della Città di San Marino, capitale della Repubblica.
La scelta, non casuale, di esporre in questa vetusta struttura i frammenti di rocce lunari, donati dagli Stati Uniti d’America a tutti gli Stati del mondo, vuole testimoniare simbolicamente la duplice vocazione di San Marino. Da una parte: il suo forte radicamento nelle vestigia, nella tradizione, nei valori della sua storia millenaria; dall’altra: la sua consapevole propensione ad aprirsi, tra i marosi dei secoli, ai cambiamenti e alle sfide che sempre sorgono con ogni nuova alba dell’Umanità.
L’attuale mostra temporanea potrebbe essere preludio a una mostra permanente, dopo un adeguato restauro interno della Porta, con il supporto di elementi scenografici e documentari confacenti.
L’auspicio è partito”. Forse la Porta del Paese, da troppi anni in deplorevoli condizioni d’abbandono, utilizzata sporadicamente per piccole iniziative espositive, risulterebbe troppo angusta (da qui l’eventuale utilizzo della Colombaia come sede) per un (chiamiamolo con termine enfatico) Museo della Luna, ma che comunque dovrebbe essere corredato – come si è scritto – da elementi scenografici e documentari, con la cooperazione di apparati statunitensi, coinvolti tramite i nostri canali diplomatici e istituzionali.
C’è chi pensa invece alle poesie, ai libri, ai manifesti, ai pastelli di Tonino Guerra, che amava tanto, guarda caso, gli alberi di ciliegio.
C’è chi segnala il mondo poetico e fantastico di Nicoletta Ceccoli, un talento nostrano che cavalca un successo dalle orme sempre più internazionali.
Il “Pologioco o Ludoteca” dell’Acquaviva ed altre organizzazioni affini potrebbero varare con continuità laboratori ludici ed educativi per bambini ed adolescenti. Anche se dobbiamo registrare che in tali servizi, molto apprezzati dalle famiglie, stanno ultimamente crescendo non pochi e complessi problemi. Forse (o forse no) uno sdoppiamento logistico accompagnato da alcune varianti innovative potrebbe essere utile?
La Colombaia potrebbe diventare un punto di ritrovo, di studio e di proposta delle associazioni culturali sammarinesi e degli universitari iscritti al nostro Ateneo, aggregando anche gli artisti e gli artigiani sammarinesi per stimolare comuni iniziative creative. C’è chi ha suggerito una storia documentaria sugli scalpellini, categoria in via di estinzione, anche per avvicinare i giovani al nobile mestiere del nostro Santo Fondatore, con riproduzioni fotografiche, testimonianze varie e indicazione dei siti dove visionare le opere scultoree realizzate nel tempo dai nostri maestri lapicidi, ospitando parallelamente e incentivando anche qualche produzione di oggi.
C’è chi vorrebbe la rinascita del Museo Garibaldino. C’è anche chi vorrebbe creare, affidandone la gestione al WWF (World Wildlife Found-Fondo Mondiale per la Natura) o ad altre analoghe Fondazioni internazionali un Centro a più facce, di documentazione, di denuncia, di promozione, che potrebbe nel tempo favorire un’eco mediatica rilevante.
Ci fermiamo qui. Ma ci sono nel cantiere mentale altre alternative non esclusa quella di un concorso per idee.
C’è tempo per approfondimenti e valutazioni circa i costi, i materiali, gli allestimenti, i contatti necessari, le relazioni collaborative.
Non troppo tempo però: la lentezza della burocrazia e della capacità decisionale sammarinesi è ormai proverbiale. Anche se i soldi sono finiti!
Quindi l’aspetto economico ancora una volta assumerà un ruolo fondamentale e condizionante.
Intanto ci rincuorerebbe non poco se si mettesse mano:
1) alla sistemazione esterna, magari come suggerito;
2) al ripristino dell’agibilità interna (e dei servizi e degli impianti annessi) oggi disastrata, tenendo conto -se si vuole e nei limiti del possibile- anche delle ipotesi formulates.
Speranzosi, inoltriamo una forte trepida istanza.
Manlio Gozi su La Tribuna