San Marino. Covid-19: da una falsa etica dei diritti all’etica dei doveri … di Alberto Forcellini

Assalto ai centri commerciali di San Marino. I migranti della tagliatella. San Marino come Ibiza. È una piccola panoramica dei titoli italiani sulla diversità di San Marino nell’approccio alle misure anti contagio. Senza nulla dire sul vergognoso servizio andato in onda sul tg1 in prima serata. Ma i giornali, si sa, vanno in cerca dello scoop, se non è vero non fa niente, basta che sia “verosimile”.

Poi ci si mette di mezzo la politica, con le forze di opposizione che gridano allo scandalo perché l’aula consiliare è diventata un focolaio. L’opposizione è strumentale per natura, però con un minimo di buon senso, tutti capiscono che Palazzo Pubblico è a rischio tanto quanto una scuola, un ufficio, un’azienda, un ristorante, un centro commerciale il sabato mattina, o una famiglia. Anzi, i rischi in famiglia sono molti di più perché, tra congiunti, c’è una tendenza generalizzata ad abbassare la guardia.

Ma tutto questo ci porta a spostare il ragionamento su un altro livello, quello dei diritti e dei doveri, dopo lo “shock antropologico” come lo avrebbe definito Ulrich Beck, che abbiamo vissuto nei mesi di lockdown, e adesso che probabilmente ne dovremo vivere un altro, più o meno uguale al primo, forse anche più lungo.

La comune esposizione al rischio di contagio, resa più drammatica dalla consapevolezza crescente della limitatezza delle nostre conoscenze, ci porta sia alla riflessione sulla pandemia, sia sulle misure adottate per contrastarla, alla luce del delicato rapporto tra salute individuale e salute pubblica, tenendo presenti al tempo stesso le diverse dimensioni (fisica, psichica, sociale) della salute degli esseri umani, ma anche il loro diritto al lavoro e alla possibilità di autosostenersi economicamente.

Nella discussione sulle strategie di contrasto all’epidemia, è possibile registrare una tensione tra salute individuale e salute pubblica, e tra i principi bioetici posti a salvaguardia dell’una e dell’altra. Da un lato, in ambito internazionale, il ruolo della salute pubblica è venuto acquisendo sempre maggior rilievo, fino ad essere considerato una dimensione fondante della sicurezza umana. Dall’altro, il diritto alla salute e l’autonomia dell’individuo devono accordarsi col principio di solidarietà, riconoscendo l’interdipendenza fra gli esseri umani. A doversi raccordare con la solidarietà non è, però, solo la responsabilità dell’individuo, ma anche la responsabilità collettiva (dello Stato e delle sue istituzioni) in modo che, sia il peso della pandemia, sia quello delle misure restrittive, non creino nuove disuguaglianze o accentuino quelle esistenti.

La pandemia ci ha portato via le nostre giornate, la scuola dei nostri figli, gli abbracci dei nostri cari, la libertà di muoverci, viaggiare e progettare. Ora che ci risiamo, non possiamo non chiederci: quanto di tutto ciò ci verrà restituito?

Le due libertà che ci sono garantite dalle Carte Internazionali e dalle Costituzioni nazionali, quella individuale e quella collettiva possono essere, tra loro, incompatibili. Appaiono, infatti, solo superficialmente come due facce della stessa medaglia, ma sono, in realtà, idee separate e profondamente differenti. Non coglierne la diversità determina posizioni incoerenti e perfino pericolose. La libertà di non dover sottostare a regole precauzionali e igieniche codificate, può scontrarsi con la libertà di un esercente di riaprire la propria attività in sicurezza. La libertà di non rivelare informazioni personali su contatti e spostamenti può contrastare con la libertà di molti di prevenire l’insorgenza di nuovi focolai. La libertà di denunciare una presunta violazione di tali norme può contrastare con la libertà di esercitare la propria responsabilità in coscienza e la propria autonomia decisionale.

Un equilibrio è dunque possibile? Non si tratta tanto di trovare giustificazioni o di combattere limitazioni temporanee o parziali della libertà: saremmo tutti ben felici di poter andare a teatro, a un concerto, a ballare o giocare una partita di calcio. Non abbiamo problemi ad indossare la cintura di sicurezza in macchina o il casco in moto. Così, non dovremmo avere nessun problema ad indossare un camice e i calzari per entrare in un ospedale o a disinfettarci le mani prima e dopo aver usato un bancomat.

Non è un momento facile da digerire, specie per chi dei diritti individuali ha sempre fatto bandiera (più o meno veritiera, più o meno ipocrita). Da un lato, lo Stato che impone restrizioni quali quarantena e isolamento; dall’altro, l’individuo che vuole esercitare la sua autonomia, muoversi liberamente, continuare la sua quotidianità. Non facile da digerire, specie per chi è ancora sano, o pensa di essere sano.

Se vogliamo limitarci ad una prospettiva etica, si può dire che oramai più o meno tutti abbiamo acquisito il fatto che un discorso etico corretto, che introduca i diritti, non può fermarsi a un “Io ho il diritto di …”. Questo non è avere una posizione etica di tipo liberale ma è l’affermazione di uno slogan che di etico ha ben poco e che vale più in un bar o in uno dei pessimi talk show che ammorbano la televisione. Un diritto deve essere giustificato, altrimenti è solo un gridio che non dovrebbe essere ascoltato. Inoltre, un diritto, quasi sempre, ha come controparte un dovere, sia da parte di colui che lo proclama, sia da parte di terzi. E questo non dovrebbe mai essere dimenticato, anche se – a dire il vero – non è poi cosa banale sbrogliare la relazione diritti-doveri. Comunque sia, la giustificazione di un diritto e il riconoscimento dell’eventuale dovere relato, sono le uniche vie per trasformare il chiacchiericcio falsamente liberale in una corretta etica liberale, che poi non è nemmeno l’unica (esiste anche un’etica deontologica, un’etica consequenzialista, un’etica comunitaria, eccetera).

Come se ne esce? Con azioni armoniche, cioè valide per tutti, sempre decise da chi è competente, in modo coordinato e centralizzato. E soprattutto da soggetti istituzionali che poi se ne assumono la responsabilità, senza correre dietro a quanti gridano solo per aumentare i loro like sui social.

a/f