Ci vorrebbe un anno e mezzo, magari due, di normalità, per far rientrare la crisi idrica che attanaglia il nord Italia, dall’Emilia in su. E c’è chi non ci crede, perché vede due gocce di pioggia davanti alla sua finestra e subito critica: vogliono solo speculare sui finanziamenti pubblici. Poi dà forza al suo ragionamento citando la diga di Ridracoli, piena al 98% e prossima a tracimare. Un evento meraviglioso, atteso da oltre due anni, mentre in passato avveniva regolarmente tutti gli anni, anche due volte. Per fortuna, nell’ultimo mese le precipitazioni hanno avuto una cadenza “normale” ed è rientrato l’allarme siccità lanciato appena lo scorso novembre/dicembre.
Ciò nonostante i corsi d’acqua delle nostre zone sono ben lontani dai livelli di solito registrati nelle stagioni piovose. Il Marecchia, il Conca e il Metauro segnano livelli idrometrici ancora al di sotto delle medie, per fortuna niente di paragonabile con il Po e con i fiumi della pianura Padana, che sono sotto il livello dai 4 agli 8 metri, a seconda delle varie zone.
Come ha fatto un fiume così importante a ridursi così? La risposta, ormai diventata quasi banale, è da cercare nel clima impazzito che sta stravolgendo gli equilibri di ogni ecosistema del pianeta. Nei mesi autunnali e invernali, infatti, la mancanza di precipitazioni abbondanti (pioggia a basse altitudini e neve sulle montagne) ha ridotto drasticamente le riserve idriche del fiume. Poi ci sono anche “colpe umane”, nel senso che il fiume subisce da anni uno sfruttamento intensivo per l’irrigazione dei terreni, sempre più bisognosi d’acqua, e per la produzione di energia da parte degli impianti idroelettrici.
Sta di fatto che in quest’inizio di primavera sono già in crisi le colture di riso, le produzioni vitivinicole e un po’ tutti i seminativi. Si sta cercando di correre ai ripari sia con degli sbarramenti per fermare la risalita di acqua salata dall’Adriatico, sia con un progetto di costruzione di invasi che permetterà di tesaurizzare l’acqua piovana per ridistribuirla nei momenti di necessità. Anche la Romagna sta predisponendo la costruzione di nuovi invasi, che rappresentano uno strumento fondamentale per la conservazione e la gestione della risorsa idrica ai fini potabili, perché in estati siccitose come quella appena trascorsa, Ridracoli rischia di non essere sufficiente.
Paradossalmente, nel sud ormai piove di più che al nord, eppure quelle popolazioni hanno gli stessi problemi di approvvigionamento idrico. Due le ragioni fondamentali: la prima è che le piogge sono molto spesso violente e distruttive; la seconda è che la rete idrica è talmente antiquata e fatiscente che disperde oltre il 50% del flusso interno. Senza contare gli episodi di abuso e accaparramento.
E a San Marino come siamo messi? In base ad un ragionamento assolutamente empirico, si potrebbe dire che siamo messi come sempre, nel senso che non si sono visti interventi di sorta. E questo succede da anni. Quando arriva la secca, l’acqua la si va a comprare fuori e si emettono ordinanze di risparmio dei consumi, che nessuno rispetta. Eppure sono anni che si parla di potenziare l’approvvigionamento idrico e di miglioramento della rete distributiva. Per il momento piove e la neve sta alimentando le sorgenti sotterranee. Per qualche mese staremo bene, ma appena arriverà il caldo ci accorgeremo, come disse quell’antico contadino, che è tardi per fare presto, ma per fare tardi siamo in tempo.
a/f