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  • San Marino. Csdl, Cdls, Uds: le molestie sul luogo di lavoro non sono complimenti … di Angela Venturini

    Quando si parla di violenza di genere, c’è una montagna di sommerso di cui spesso non si ha consapevolezza. Lo dicono i dati: 46 i casi gestiti dagli uffici competenti della Gendarmeria, 6 gli ordini di protezione, 2 donne con disabilità tra le vittime di violenza e 29 i minori coinvolti. Da gennaio al 31 ottobre dell’anno in corso, ci sono 41 procedimenti penali aperti per atti persecutori, percosse, maltrattamenti e lesioni personali; di questi, 9 sono stati archiviati. È il quadro attuale della civilissima, democratica, benestante, Repubblica di San Marino divulgato ufficialmente il 25 novembre scorso. Sconcertante. Da rimanere senza parole. 

    Non è senza parole il sindacato, né UDS, che hanno voluto accendere i riflettori su un aspetto troppo spesso non considerato come emergenziale: le molestie sui luoghi di lavoro. Sembra una questione di altri tempi, quando le donne non avevano capacità economica, talvolta neppure giuridica; erano fragili, ricattabili a causa di convenzioni sociali e religiose, sopraffatte da una cultura per cui l’uomo aveva sempre ragione e bisognava sottostare. In tutti i sensi. 

    Invece è una questione anche odierna. Lo hanno raccontato CSDL, CDLS e Unione donne sammarinesi, nel corso di una serata a ciò dedicata, prendendo spunto dal film “Nome di donna” diretto da Mario Tullio Giordana e interpretato da Cristiana Capotondi. È la storia di una giovane donna, una ragazza madre, che finalmente trova un lavoro in una RSA di lusso, dove le dipendenti sembrano godere di un trattamento contrattuale e retributivo di alto livello, consono alla loro vita e alle loro esigenze. Invece il racconto si snoda attraverso una trama fatta di molestie molto pesanti da parte del direttore generale, coperto e sostenuto dai suoi protettori, a scapito delle dipendenti, compresa la giovane protagonista, che ne paga le conseguenze. Tra queste, anche l’ostilità dell’ambiente in cui lavora e la solitudine in cui viene a trovarsi chi non vuole subire passivamente tali soprusi. Il film racconta l’omertà, la compiacenza, il disonore generale a cui si contrappone l‘onestà di questa madre, che trova il coraggio di sfidare il sistema e si ribella, dimostrandosi più forte dei luoghi comuni.

    Forse un po’ banale e chiaramente forzato l’happy end, che quasi mai accade nella realtà, ma comunque una pellicola capace di mandare un messaggio forte su un tipo di cultura per certi versi ancora imperante, nonché sulla vittimizzazione secondaria, talvolta anche a carico delle stesse donne, molte delle quali, come molti uomini, commentano: se l’è andata a cercare! Come a dire, se certe cose succedono, è sempre colpa della donna, che non sa reagire nella maniera giusta, e che soprattutto deve stare zitta. 

    Invece bisogna reagire, bisogna fare chiasso, come dice il sindacato. Il quale sottolinea che se i dati della violenza di genere aumentano non è per forza un segnale negativo, vuol dire che le donne denunciano di più che in passato e si fanno proteggere dalle leggi, dalle istituzioni e da tutti gli strumenti che sono stati messi in campo a loro favore. Se così fosse, vorrebbe dire che è in aumento anche la fiducia delle donne e speriamo che i dati futuri lo possano dimostrare. 

    Per il momento si può solo prendere atto che ci sono donne che non hanno neppure un contro corrente, che tantissime lo hanno cointestato con il marito/partner e che quindi non hanno la piena disponibilità ad usarlo, che ben oltre il 50 per cento dei lavori più bassi sono coperti dalle donne benché il loro livello di istruzione sia mediamente più alto di quello degli uomini. Insomma, la sottovalutazione di un’imperante disparità di genere è ancora un fenomeno culturale e sociale molto diffuso. Per invertire questa tendenza bisogna parlarne ancora molto e bisogna capire che le molestie nei luoghi di lavoro, non sono complimenti. 

    Angela Venturini