San Marino. David Oddone: ”creiamo benessere sennò qui arriva la rivoluzione”

gendarmeriaMettiamo immediatamente le mani avanti per evitare qualsivoglia critica: l’analisi che si propone non vuole per nulla rappresentare un suggerimento a chicchessia ma va presa per quello che è. Ovvero una semplice analisi, un punto di vista, personale, su una vicenda che ha fortemente condizionato la storia politica italiana.

Ci si riferisce alla condanna e alla assoluzione in appello, di un paio di giorni fa, dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il cav era stato condannato in primo grado a sette anni per concussione e prostituzione minorile. Il giudice di secondo grado ha completamente sconfessato la procura, dunque l’accusa, ed anche il giudizio del magistrato inferiore. “Il fatto non sussiste” e “il fatto non costituisce reato” le formule utilizzate rispetto alle duplici accuse. Insomma un completo cambio di rotta per ipotesi di reato risultate evidentemente insussistenti. Qualcuno maliziosamente ha commentato che a Milano, sede del processo di primo grado e di quello di appello, non si era mai vista una cosa del genere. Ancora più malizioso è chi sostiene che dietro la decisione dell’assoluzione del Silvio nazionale ci sarebbe la longa manus del presidente della Repubblica, sua grazia Re Giorgio Napolitano, che come noto presiede pure il Consiglio Superiore della Magistratura. Motivo? Semplice. Le ragioni di Stato sono più importanti di una sentenza di condanna. Le riforme in Italia non si fanno senza Berlusconi e condannarlo avrebbe probabilmente fatto perdere all’Italia anni preziosi. E questo tempo i nostri vicini non lo hanno, attanagliati dalla crisi, dalla disoccupazione e dalla mancata crescita. Supposizioni, pettegolezzi, malelingue. Forse Berlusconi è stato semplicemente assolto per- ché in Italia, come nelle altre parti del mondo, le accuse vanno provate e non basta genericamente dire “si sa che è andato a letto con Ruby”. Lecito pensarlo naturalmente o magari condannare l’ex cav al bar. Ma in Tribunale ci vogliono le prove, e la procura ha l’onere di provare la colpevolezza di qualcuno “oltre ogni ragionevole dubbio”, rispettando le procedure che sono garanzia di democrazia. Diversamente basterebbe la vox populi per fare sì che qualcuno sia messo in gabbiia e venga gettata via la chiave. Altrimenti non si può più parlare di giusti- zia, ma di luoghi comuni.

“Si sa che i liberi professionisti evadono tutti le tasse” e allora senza processo condanniamo tutti i commercialisti. “Si sa che tutti i banchieri fanno usura” e allora mettiamo alla gogna tutti coloro che lavorano in banca. “Si sa che tutti i politici prendono mazzette” e allora portiamo ai Cappuccini tutti, ma proprio tutti, dai consiglieri di Rete, fino a quelli della Dc. Troppo facile, troppo riduttivo: fascista in una parola. Ho trovato molto interessante l’ultimo editoriale di Carlo Romeo, dg della SmTv, dove in un passaggio sostanzialmente sostiene –e non è la prima volta che lo fa– di tirare una riga col passato, di guardare avanti. Solo in questo modo si può pensare al futuro, ma soprattutto al presente. Sono d’accordo con lui. Il rischio è il conflitto sociale: oggi a San Marino c’è il tutti contro tutti e quando ci sono le guerre, si lasciano sempre tanti, troppi morti sul campo di battaglia. Da ogni parte, su ogni fronte. Giusto dunque sostenere i giudici, giusto andare fino in fondo, ma poi si pensi anche ai bisogni urgenti, in primis il lavoro. Mentre si disserta sulle ville di Podeschi o sui conti di “Mazzini”, i sammarinesi sono senza occupazione, i giovani arrancano. Ma anche questo Consiglio verrà ricordato per qualche “pataccata” e non per le riforme strutturali necessarie alla crescita. L’Italia, un posto dove nemmeno “Mani pulite” è riuscita ad estirpare il cancro della corruzione, è paradossalmente il Paese che San Marino deve ringraziare per avergli imposto con la forza la legalità. E’ stato un personaggio come Tremonti (sic!) ad esporta-re in terra biancazzurra la moralità. Diventa pertanto imbarazzante per lo scrivente suggerire di guardare ai nostri vicini in questo momento. Con tanti difetti però, l’Italia una cosa l’ha capita: esistono delle priorità, c’è un bene, il bene comune, che arriva prima delle guerre personali, dei giochi di potere, delle rese dei conti. Meno prosaicamente Renzi e soci hanno fatto un discorso molto pratico: o portiamo a casa dei risultati, o la gente la prossima volta vota Grillo e ce ne andiamo tutti a casa.

O peggio se non creiamo benessere qui arriva la rivoluzione.

Questo concetto sul Titano ancora non passa e pare che sia più importante conoscere che cosa ha mangiato l’altra sera Podeschi in carcere, piuttosto che risolvere le tante grane e urgenti istanze che giacciono coperte di polvere sui tavoli dei nove segretari di Stato. Questione di priorità.

David Oddone