San Marino. Decreto delegato sulla disabilità: parla Christian Bernardi (articolo completo)

”Mi chiedo a volte se chi scrive le leggi abbia mai considerato davvero la nostra situazione. E mi piacerebbe far salire chi si occupa di noi sulla carta sulla mia auto per mezza giornata”

E’ in atto o dovrebbe esserlo una piccola rivoluzione a San Marino in favore della disabilità. Così almeno stando alle dichiarazioni del Segretario di Stato alla luce della rati ca del decreto delegato n.127 del 2017 di cui si è sentito parlare molto da parte degli inquilini del Palazzo. Abbiamo così voluto ascoltare anche uno dei possibili destinatari della legge, il sammarinese Christian Bernardi, disabile da oltre vent’anni in seguito ad un drammatico incidente.

“Essere dentro le cose è un luogo – scrive Valeria Parrella in tempo di imparare – avvicinarsi a esse, tentare la solidarietà senza conoscerle davvero è una misura che mai si colma; un secchio che non raggiunge l’orlo anche desiderandolo. Allora bisogna sbrecciare il secchio, bucarlo e renderlo colino, pestare i piedi al fondo per far schizzare fuori l’acqua. La riserva mentale è un luogo chiuso, e noi vogliamo vivere liberi”.

Che opinione si è fatto lei?

“Ritrovare la mia vita e la mia indipendenza dopo che per 26 anni ne sono stato privato mi piacerebbe molto. E sarei tentato di credere a questa nuova opportunità. Anche se di parole ne ho sentite tante e di cose fatte ne ho viste ben poche. Mi chiedo a volte se chi scrive le leggi abbia mai considerato davvero la nostra situazione. E mi piacerebbe far salire chi si occupa di noi sulla carta sulla mia auto per mezza giornata. Si accorgerebbe che la parola indipendenza è per me una parola soltanto molto dolorosa. Ho già detto proprio su queste pagine di quanto limitata sia la mia libertà. Se voglio prendere parte ad un incontro devo tornarmene a casa quasi sempre con la coda tra le gambe, solo qualche sera fa volevo partecipare ad una serata indetta da Rete per informare i cittadini ma si trovava alla Casa del Castello, luogo per me, evidentemente cittadino di serie B, inaccessibile. Stessa cosa accade quando decido di prendere un caffè al bar o fare qualche acquisto. Pur avendo io una piccola pensione e dunque una certa libertà economica non ho la possibilità di spendere i miei soldi. Devo sempre chiedere ai miei di fare le mie commissioni e così c’è qualcuno che in qualche modo supervisiona le mie scelte e ha la possibilità di giudicarle. Mi manca molto la mia vita di prima non perché io non sia stato in grado di accettare quella che ho oggi ma perché alle limitazioni siche si aggiungono quelle della comunità in cui vivo che non mi permette di fare cose che ogni uomo dovrebbe avere la possibilità di poter fare”.

Quando si parla di indipendenza la prima cosa che viene in mente è il lavoro, lei ha mai lavorato?

“Sì, dopo l’incidente ho prima pensato a riprendere possesso della macchina con tutti i sacrifici che questo mi è costato. Poi il lavoro è stato il passo successivo, una scelta naturale per chi desideri far parte di una comunità. Ma presto ho capito che non c’era spazio per quelli come me. Non avevo mansioni specifiche ma talvolta dovevo rispondere al telefono o spegnere le luci e chiudere le porte. Così alla ne ho deciso che non faceva per me e ho lasciato perdere. Non è facile far lavorare un disabile. Egli ha diritto ad un lavoro ma anche al rispetto dei propri tempi. Il posto di lavoro di un disabile dovrebbe essere ritagliato da un sarto perché è necessariamente un abito su misura. Io per esempio faccio una fatica enorme e tutto pesa da mattina a sera, sabato e domenica compresi, sulle mie due fragili braccia”.

Pensa che le cose cambieranno anche per lei?

“Le cose prima o poi dovranno cambiare per forza. Anche se a volte mi viene il dubbio che la mia voce resti inascoltata e non serva a nulla. Ho provato a dire la mia in tutti i contesti ma la situazione rimane grave ed io non sono libero di muovermi come vorrei. Apprezzo comunque che ci si stia impegnando per fare in modo che il mio mondo e quello degli altri possano finalmente trovare un canale di comunicazione. Solo mi chiedo il perché vengano tanti esperti da fuori a parlare e non si abbia mai il tempo di ascoltare noi che la ‘laurea sulla disabilità’ l’abbiamo presa sul campo”.

Olga Mattioli, RepubblicaSM