Joshua Wong, tra gli attivisti pro democrazia più noti di Hong Kong, è stato condannato a 13,5 mesi di carcere per aver guidato nel 2019 una manifestazione illegale davanti al quartier generale della polizia dell’ex colonia britannica. Condannati, secondo i media locali, anche altri due attivisti, Agnes Chow e Ivan Lam, rispettivamente a 10 e 7 mesi di reclusione. Circa 100 sostenitori si sono riuniti silenziosamente all’interno del tribunale prima della sentenza, mentre un piccolo gruppo di persone pro-Pechino si è allineato all’esterno, chiedendo una forte condanna al carcere. “I giorni a venire saranno duri ma resteremo lì, non molleremo” ha gridato Wong dopo che la sentenza è stata letta. Si tratta di una delle tante storie che il Covid rischia di fare passare sotto silenzio ma che nonostante ciò, sta indignando l’opinione pubblica, perlomeno quella che è riuscita a venire a conoscenza di tale vicenda. Immagino che anche i miei lettori in questo momento, scorrendo queste righe, stiano provando una certa rabbia e si stiano chiedendo come sia possibile che nel 2020 si possa finire in galera semplicemente per avere manifestato il proprio dissenso od esercitato il diritto universale alla libertà di pensiero. Eppure prima di fare la morale a Hong Kong dovremmo guardare in casa nostra, intesa sia come Italia, che come San Marino. Pure qui la storia di Wong dovrebbe risvegliare il bisogno di libertà e di conseguenza di una stampa realmente libera perché solo così essa può considerarsi affidabile. In Italia e a San Marino infatti si va ancora in carcere in caso di condanna per diffamazione. Incredibile vero? Un giornalista che dovesse essere giudicato colpevole finirebbe in galera, magari per avere espresso una opinione sopra le righe. Alla faccia della democrazia e della nostra presunta superiorità morale rispetto a Paesi quali Cina o la Russia. Esagero? Può anche darsi, ma io stesso in un recente procedimento penale, se non fossi risultato poi innocente e definitivamente assolto, avrei rischiato l’arresto visto che il giudice di primo grado non aveva neppure concesso la sospensione della pena. Soprattutto negli ultimi anni intellettuali di vari Paesi hanno cercato di spingere il parlamento italiano ad intervenire, anche alla luce della scontata condanna di fronte alla Cedu alla quale viene esposto lo Stato che decidesse di mandare una penna in prigione. E di condanne su questo fronte se ne contano già numerosissime. La stessa Corte costituzionale italiana ha rinviato al 22 giugno del 2021 la trattazione della questione di costituzionalità sollevata dai tribunali di Salerno e Bari in relazione alle norme che puniscono con la detenzione i giornalisti condannati per diffamazione a mezzo stampa. In questi mesi le Camere potranno intervenire con una nuova disciplina, visto che “sono attualmente pendenti vari progetti di legge in materia”. Sono pendenti, ma è un bene che “pendano”. Si vogliono infatti sostituire le pene detentive con multe esorbitanti che finirebbero per condizionare fortemente chi fa questo mestiere, acuendo ancora di più il divario fra le testate più ricche – che potranno permettersi di pagare anche conti salati – e i giornali locali, veri baluardi della democrazia e sentinelle dei diritti della gente nelle comunità più piccole. Senza contare che un grande editore in questo modo potrebbe scientemente decidere di accollarsi eventuali spese pur di orchestrare una campagna mediatica contro questo o quell’altro. Personalmente credo che la diffamazione debba essere semplicemente depenalizzata, senza andare a cercare ipocriti contrappesi che finirebbero per essere peggiorativi per chi opera sul campo. San Marino da questo punto di vista potrebbe rappresentare un precursore e diventare Terra della Libertà di nome e di fatto. Lancio allora questa proposta al Guardasigilli, on. Massimo Ugolini e al Parlamento sammarinese che sta ragionando sulla riforma del codice penale.
David Oddone