Parliamo oggi di un argomento solo all’apparenza più leggero. Ovvero il boom delle calzature a marchio “Lidl”. Scarpe che nel noto supermercato costano circa 13 euro e che si trovano ora su ebay anche a 2 o 3mila euro. Verificare per credere. E in questi giorni la catena anche a Rimini è stata letteralmente presa d’assalto con file su file per accaparrarsi le agognate sneakers. Nemmeno il covid insomma ha fermato i novelli modaioli. Dietro alla cronaca di un evento più vicino al gossip, tuttavia c’è tanto altro. Ovvero tutta la forza che social e influencer hanno soprattutto sulle giovani generazioni. Per arrivare a tale risultato, ovvero rendere oggetto del desiderio globale un prodotto che oggettivamente non brilla per le sue qualità, è stato messo a punto uno studio accurato delle abitudini e dei desideri dei consumatori: “Una collezione moda nata dall’ascolto delle esigenze dei nostri clienti” per usare le parole di Lidl. La parte del leone per essere chiari la fanno gli esperti di comunicazione. I quali sanno fin troppo bene che per raccogliere, bisogna prima ben seminare. Si è partiti così da una campagna social mirata che ha visto assoldati diversi influencer di successo. In Italia, questa estate abbiamo visto Fedez indossare i calzini nelle sue storie su Instagram. Oltre a lui, diversi “tiktoker” hanno promosso la linea, con il risultato di renderla appetibile nel segmento dei giovani e giovanissimi. Possiamo dunque parlare di esperimento social perfettamente riuscito. Complimenti agli ideatori che hanno dimostrato semmai ce ne fosse bisogno, che chi conosce gli “ingranaggi” può fare letteralmente “girare”, vendere, di tutto, anche forse i classici frigoriferi in Alaska. Un argomento per il sottoscritto particolarmente interessante, che tuttavia fa emergere dubbi etici e mette ancora una volta in luce come i teenagers siano assolutamente vulnerabili a “macchine” nate per assuefare le menti e tenerle il più possibile incollate allo schermo. In modo da subissarli di messaggi e renderli perfetti consumatori. Il principio è né più, né meno quello delle slot machine per capirci. Consigliamo a chi ha Netflix di guardarsi il documentario “The Social Dilemma”, nel quale i creatori dei primi social hanno dichiarato che la struttura della piattaforma è attentamente studiata proprio per creare dipendenza e, come nelle slot machine si tira verso il basso una leva per scoprire quali immagini usciranno, sui social si scorre il dito verso il basso per vedere quali nuovi post compariranno. Un concetto che vede la sua massima espressione in “Tik-tok” oggi forse la piattaforma più in voga fra i giovani, dove tra una risata e un balletto è possibile organizzare sponsorizzazioni e vendite dirette, mentre l’app analizza i dati degli utenti e le ricerche effettuate, i contenuti guardati, i link copiati, i quali vengono poi venduti alle grandi aziende che saranno in grado non solo di capire meglio i consumatori, ma riusciranno anche ad influenzarli. Un cane che si morde la coda e un giro di affari miliardario. E’ giusto allora da parte degli esperti della comunicazione utilizzare strumenti ed influecer che di fatto fanno leva su una sorta di lavaggio del cervello? Ecco qui il “social dilemma” per eccellenza del mondo 3.0. Un mondo che a causa del covid viaggia ancora più spedito verso le nuove tecnologie che ormai scandiscono – ancor di più se possibile – le nostre vite. Per questo sarà necessario quanto prima fissare per i colossi del web più stringenti regole e paletti, ma soprattutto cominciare a riflettere seriamente su un problema che al pari di droga, alcool, gioco d’azzardo, non può e non deve essere sottovalutato e preso sottogamba.
David Oddone