Un sistema che “trasforma la cura in un destino obbligato”, intrappolando persone con disabilità e i loro familiari in una “istituzionalizzazione invisibile”. È il duro j’accuse lanciato oggi dall’associazione sammarinese Attiva-Mente, che con un comunicato stampa scuote il dibattito sulle politiche sociali del Titano. L’affondo dell’associazione prende le mosse da una riflessione profonda sul ruolo dei caregiver, spesso madri costrette a rinunciare a lavoro e autonomia, per chiedere un cambio di paradigma: non più assistenzialismo, ma un sistema basato sui diritti, la libertà e l’autodeterminazione, come sancito dalla Convenzione Onu.
L’associazione punta il dito contro un modello ancora troppo centrato sulla famiglia, che diventa l’unico pilastro di un welfare carente di alternative. “Chi si prende cura di chi si prende cura?”, è la domanda provocatoria posta da Attiva-Mente, che evidenzia come l’amore familiare rischi di trasformarsi in una gabbia. “I sostegni domiciliari sono limitati e i programmi di Vita Indipendente ancora troppo volubili, per non dire inesistenti”, denuncia il comunicato. In questo scenario, il genitore diventa caregiver a tempo indeterminato per necessità economiche e la persona con disabilità è costretta a restare accudita per mantenere quel sostegno. “Entrambi – si legge nella nota – finiscono prigionieri di un meccanismo costruito più sulla necessità che sulla scelta”.
Attiva-Mente richiama la Repubblica di San Marino ai suoi impegni internazionali, in particolare alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata già nel 2008. Un testo che indica una direzione chiara: “Ogni persona ha diritto a vivere in modo indipendente, a scegliere dove e con chi vivere, a ricevere il sostegno necessario per partecipare pienamente alla vita sociale”. Un principio che, secondo l’associazione, resta ancora largamente disatteso. Le conseguenze sono gravi, dal “burnout familiare”, ovvero l’esaurimento fisico e psicologico di chi assiste, fino a un tema ancora più scomodo. “La famiglia non è sempre un luogo sicuro”, avverte Attiva-Mente, sottolineando come l’idealizzazione del nucleo familiare possa nascondere casi di violenza, trascuratezza o abuso. “Una politica dei diritti deve saper guardare anche dove è più scomodo guardare”.
La soluzione proposta è un radicale cambiamento di prospettiva. Bisogna smettere di chiedersi “quanto è grave la disabilità” e iniziare a domandarsi “quali sono gli ostacoli che impediscono una piena partecipazione sociale”. Questo significa, concretamente, investire in strumenti come l’assistenza personale autogestita, garantire il diritto alla scelta e superare i vecchi modelli medico-assistenziali.
In conclusione, l’appello è a trasformare la cura da dovere familiare a responsabilità collettiva, facendo di San Marino “un laboratorio innovativo” per le sue dimensioni e la sua vocazione. Una società matura, per Attiva-Mente, non scarica sulle famiglie il peso di politiche inadeguate, ma costruisce un sistema in cui la libertà è garantita a tutti. Perché, chiosa il comunicato, “la cura più autentica è quella che libera”.
								
								



															







