Grazie Eccellenze,
Oggi 20 febbraio siamo qui in questo Consiglio straordinario proprio per votare
quello che rappresenta uno spartiacque cruciale nella storia della nostra
Repubblica: l’indebitamento da 340 milioni di euro sottoscritto ad inizio
settimana. Un fardello pesante, che il nostro Paese avrà la forza di sostenere
solo se saremo in grado di controbilanciarlo con politiche di sviluppo e
ammodernamento capaci di guardare lontano e di infondere nuova speranza ai
nostri amati concittadini. Doveroso un ringraziamento alle Segreterie di Stato
per le Finanze e gli Affari Esteri, e a tutto il loro staff, ma anche al Congresso di
Stato tutto, per il lavoro incessante svolto negli ultimi mesi e che alla fine si è
tradotto in un risultato che non ho remore di definire straordinario. Questo
tuttavia non è il tempo dei festeggiamenti; il traguardo raggiunto con
l’immissione sul mercato delle nostre prime obbligazioni deve indurci a una
riflessione profonda e risvegliare in noi – questo almeno mi auguro – un forte
senso di responsabilità. Responsabilità che, come ebbi a dire nel mio primo
intervento in quest’Aula, è stata il collante che ha permesso la nascita di questa
maggioranza. Il debito di cui oggi ci facciamo carico dovrà necessariamente
essere ripagato: la strada, lo sappiamo tutti, è tutt’altro che in discesa. Ecco
perché mi sento di affermare che non abbiamo bisogno di un Governo di
bandiere. Al contrario, abbiamo bisogno di un Governo che – forte dei suoi
numeri all’interno di quest’Aula ma anche della larghissima rappresentanza
all’interno del Paese – sia a tutti gli effetti e per davvero un Governo di popolo,
formato da partiti con ideologie ed esperienze diverse ma determinati a trovare
una sintesi in nome di un bene superiore. Torno ancora una volta sul concetto di
responsabilità, parola più volte evocata, spesso a sproposito. Responsabilità, per
noi che facciamo politica e sediamo oggi in quest’Aula, vuole dire prima di tutto
essere disposti a cedere qualcosa, magari anche in termini elettorali. Dobbiamo
mettere da parte le politiche di casacca, le inutili guerre tra bande e le posizioni
che ci vedono arroccati in virtù dei diktat di partito, in favore di politiche che
mettano al centro il Paese e i suoi cittadini, i quali oggi più che mai hanno
bisogno di risposte celeri, concrete, veloci ad esigenze reali che stanno
segnando profondamente il nostro tessuto sociale ed economico. Un debito di
340 milioni avrà senso solo se ci vedrà impegnati ad avviare e sviluppare un
progetto di ampio respiro, che dovrà essere condiviso da parte di tutti, con il
senso di responsabilità a cui mi richiamavo in precedenza e su cui ho più volte
insistito anche come presidente dei Giovani Democratico Cristiani. In questi
giorni, ahimè, ho assistito più volte ad atteggiamenti e dichiarazioni disdicevoli
da parte di alcuni partiti che sembravano quasi trarre appagamento, non senza
un certo senso di ripicca, dalle difficoltà incontrate dal nostro Paese; partiti che
si sono prodotti in episodi di tifo sui ritardi accumulati nell’approvvigionamento
dei vaccini, ma anche sul posizionamento dei Bond o sulla messa in sicurezza
del nostro tribunale. Partiti che, in altre parole, hanno tifato contro il Paese.
Questo non deve più accadere. Non meritiamo più di assistere ad una politica
irresponsabile che tenta di screditare chi, quei problemi, sta coraggiosamente
provando a risolverli. Problemi, è bene ricordarlo, che sono stati cagionati da
noi tutti presenti in quest’Aula, da tutti i partiti e movimenti, di destra e sinistra,
che in questi anni hanno deliberato, deciso, governato. Ecco perché, ancora una
volta, la parola responsabilità deve tornare ad essere il motore delle politiche
future. Responsabilità si affianca ad un’altra parola che considero fondamentale,
ovvero la parola cultura. Nell’ultimo anno abbiamo visto come la pandemia
abbia acuito lo scollamento e il distaccamento culturale all’interno del Paese e
dei suoi gangli vitali, generando inevitabilmente un senso di smarrimento e di
sfiducia nella popolazione, ma anche, sul piano pratico, perdita di posti di
lavoro. Ecco perché le riforme strutturali, tanto decantante e a lungo
profetizzate, dovranno smettere di essere semplici slogan per diventare azioni
incisive, mirate, supportate da una tabella di marcia chiara, trasparente e
condivisa, con le forze politiche, le associazioni di categoria, le parti sociali e
con tutti coloro che hanno San Marino nel cuore. Solo così, con una rivoluzione
culturale – ma una rivoluzione vera e non soltanto teorizzata – ci salveremo.
Tutti noi abbiamo bene in mente quelli che dovranno essere i pilastri dei nostri
investimenti: cultura, ambiente, scuola, digitale, politiche del lavoro focalizzate
sull’abbattimento delle disuguaglianze. Appena qualche settimana fa la Caritas
evidenziava come la grande maggioranza delle richieste di aiuto ricevute negli
ultimi tempi arrivassero da donne che avevano perso il lavoro. E’ un aspetto che
non possiamo fingere di ignorare. Un aspetto che è stato ricordato, alcuni giorni
fa, anche dal premier italiano Mario Draghi nel suo discorso in Senato. Un
discorso che vi invito a leggere e dal quale vi invito a trarre spunto; in esso più
volte – non a caso – si fa appello al senso di responsabilità, intesa come bussola
dell’agire politico. Lo stesso Draghi, nel suo intervento, ha ripetutamente posto
l’accento sui giovani, che per primi saranno chiamati a ripianare questo debito, e
che quindi meritano di trovare più di tutti le condizioni per poter sviluppare le
loro competenze, quelle stesse competenze che serviranno un domani per
traghettare la Repubblica verso scenari migliori. Ai giovani dobbiamo lasciare
in eredità una nuova cultura del fare impresa, basata non tanto su sussidi a
pioggia o su una mera politica assistenziale, ma su incentivi reali a chi ha
deciso di investire e di spendersi per generare ricchezza, creare occasioni e posti
di lavoro e attirare capitali. Proprio per questo, aggiungo, avremo bisogno di
una pubblica amministrazione nuova, al passo con i tempi, in grado di
camminare sulle proprie gambe e di mettersi al fianco degli imprenditori, di
interpretare i dati e i cambiamenti in atto. E’ questa, in definita, la missione che
oggi deve vederci uniti, pronti a lavorare come una cosa sola, nella stessa
direzione. Nostra è la responsabilità. Nostro è l’onere di fare in modo che ogni
centesimo di debito sia speso non in in una miriade di iniziative rocambolesche
e confuse, ma in pochi, chiari e semplici progetti capaci di dare forma alla
visione già tracciata all’interno del programma di Governo. Il tutto affinché si
possa finalmente restituire al Paese la fiducia. La fiducia nel futuro. Grazie
Eccellenze.