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  • San Marino. Disinformatia: non è solo effetto della nebbia di guerra … di Alberto Forcellini

    Il 3 maggio è la giornata mondiale della stampa libera. Un’occasione privilegiata per ricordare croniste e cronisti assassinati negli ultimi anni, fino ai conflitti in corso in Ucraina, Russia, Siria; per riflettere e protestare contro il bavaglio ai media indipendenti russi e bielorussi. Il pensiero è rivolto anche a tutti i giornalisti che si trovano nelle carceri di Turchia, Egitto, Iran, Bielorussia, Africa e in tutti i luoghi del mondo nei quali la libertà di espressione non è garantita.

    Da tempo il dibattito pubblico, non solo in Italia, è attraversato quasi quotidianamente dal tema delle fake news. Un tema molto presente e discusso, a volte in modo grossolano. Ormai, sempre più spesso, per screditare un avversario o anche soltanto l’opinione di qualcuno, si accusa di diffondere fake. Ma in realtà questo tema si collega al più grande e complesso problema della disinformazione e di come certi strumenti possono essere utilizzati e diffusi per condizionare l’informazione.

    Fake, censura e propaganda, l’informazione è spesso un tasto dolente, specialmente in tempo di guerra. Ne abbiamo sentite di tutti i colori sulle stragi, sui civili usati come scudi umani, su navi che si incendiano e non che sarebbero state colpite da missili, su chi vince e chi perde sul campo. Per fortuna ci sono i giornalisti, occhi terzi che raccontano quello che vedono, che offrono ogni giorno reportage molto dettagliati su cui ognuno si può fare un’opinione.

    La disinformatia non è solo di fonte russa, ma anche americana e di altri paesi. È un’arma di guerra che, al pari di missili e cannoni, può fare morti e feriti. È un’arma anche in tempo di pace (questo il paradosso) perché viene usata per creare o distruggere persone, economie, idee politiche. La penna che uccide più della spada, come nella migliore tradizione storica. Si chiama propaganda, non informazione.

    Infatti, anche alle nostre latitudini, dove la guerra la vediamo solo in tivù e ne arguiamo la portata solo quando ci arriva la bolletta del gas, la disinformatia è pane quotidiano. Lo stravolgimento continuo di quello che accade, delle scelte politiche e perfino delle opinioni espresse, è una precisa tecnica di manipolazione del pensiero. Gli occhi terzi, quelli dei giornalisti che vediamo a Kiev o a Mariupol, dalle nostre parti non ci sono, perché in qualche modo sono schierati. O quanto meno la maggior parte di loro.

    Come si fa? Possibilmente bisognerebbe sentire tutte le campane e poi verificare i fatti se corrispondono a quanto detto da una parte o dall’altra.

    L’informazione costruttiva dovrebbe essere un obiettivo di tutti i professionisti. È quella che offre le notizie in maniera corretta, senza manipolazioni, sensazionalismi, che non si avvale del verosimile ma del vero, quella che aiuta il lettore a formarsi un’idea sua, non indotta dall’interesse nascosto di scrive. Solo così si può puntare alla maturità del lettore, che non si ferma al titolo, né a un giudizio di massima solo perché il testo non corrisponde al suo pensiero.

    Questioni di contenuto, ma anche di forma. Ci sono giornalisti che parlano e scrivono in maniera superba, che dimostrano preparazione, competenze, approfondimento, verifica e, soprattutto, un substrato culturale che è fondamentale per la comprensione. Poi c’è gente che non sa parlare e non sa scrivere, che usa la punteggiatura come un badile, tutta a casaccio; che non conosce le regole fondamentali della grammatica (ormai sono pochissimi quelli che ricordano la differenza tra accento e apostrofo e li sbagliano sempre); che la sintassi non sa neppure dove stia di casa; che non sa neppure coniugare un pronome o un aggettivo. Il refuso, per carità, capita a tutti, ma non è quello che modifica la sostanza.

    L’impoverimento linguistico è un altro grave problema dell’informazione e un po’ di tutta la società. Lo si riscontra soprattutto nei giovanissimi, in molti narratori moderni e in tantissimi giornalisti. Invece, è la ricchezza semantica che ci permette di esprimere con precisione le nostre emozioni, le nostre sensazioni, i nostri pensieri. Quando i vocaboli si riducono, scompaiono anche i concetti astratti equivalenti. Il risultato? Un impoverimento emotivo e concettuale oltre che linguistico. In tema di informazione, questo diventa un impoverimento della conoscenza e di quella funzione di servizio che dovrebbe essere il primo dovere di chi scrive.

    a/f