QUESTA LA PRIMA PARTE:
ECCO LA SECONDA PARTE:
La Cassa di Risparmio di San Marino affermava che si era trattato dì una valutazione di opportunità a seguito del venir meno del rapporto di fiducia con il RENZI, che mostrava “una costante avversione alle scelte strategiche dell’organo amministrativo”, scelte che invece egli (che aveva avuto un ruolo dirigenziale sin dal 2005 avrebbe dovuto eseguire.
La qui appellata sentenza ha respinto il ricorso. Anzitutto, nel merito, ha considerato che la fattispecie del licenziamento era in astratto disciplinata dall’6 della legge 4 maggio 1977, n. 23 alla quale fa da eccezione, per i dirigenti l’art.15 e a quest’ultimo le previsioni degli artt. 7, sul licenziamento discriminatorio e 14, sull’indennità di anzianità.
La sentenza, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro del RENZI con la Cassa di Risparmio di San Marino, ha ricordato quali sono per la giurisprudenza sammarinese i caratteri della figura del dirigente, in che effettivamente corrispondevano al RENZI anche al di là della qualificazione formale convenuta, e in riferimento all’espressa previsione dell’art. 55 del contratto collettivo aziendale del 22 aprile 2004, per la sua effettiva posizione apicale nel contesto della Cassa di Risparmio.
La sentenza, più in particolare, ha considerato il Contratto collettivo per i dipendenti del settore bancario, che non disciplina il rapporto di lavoro dei dirigenti. Ne viene che il licenziamento del RENZI non può essere considerato disciplinare e che, in ragione del citato art. 15, non ha applicazione fa rammentata legge n. 23 del 1977 riguardo ai licenziamenti individuali: piuttosto si tratta di licenziamento ad nutum, che non necessita di giusta causa o di giustificato motivo. La motivazione manifestata qui dal datore di lavoro non era perciò necessaria, e fronte di essa il RENZI si è doluto della condotta dei vertici dell’azienda (che, a suo dire, avrebbe generato l’asserito venir meno del rapporto fiduciario e a provocare, inutilmente, le sue dimissioni) e del suo demansionamento, avvenuto a seguito dell’assunzione del dott. Luca SIMONI, con cui si trovava in contrasto, a direttore generale di cassa. Il licenziamento (o meglio, ha detto la sentenza, il recesso del datore dal rapporto di lavoro) è, per la sentenza, non discriminatorio perché non rientra nei Ci i ctel ricordato art. 7 della legge n. 23 del 1977 e— dovendosi escludere la natura disciplinare — nemmeno rientra nelle ipotesi del Capitolo I (Rapporti disciplinari) della medesima legge.
La sentenza ha sottolineato da un lato l’esigenza rimarcata dalla giurisprudenza, di sinergia del dirigente con i vertici aziendali e di coerenza con il loro indirizzo di carattere generale, da un altro il carattere compiutamente fiduciario del rapporto di lavoro del dirigente, sia nella genesi dello svolgimento: tali elementi connotano il licenziamento del RENZI come recesso od nutum.
Nondimeno, la sentenza — facendo riferimento alle clausole generali di correttezza e buona fede e sulla scorta della giurisprudenza di legittimità italiana (cita Cass., lav., 28 aprile 2010, n. 9703; 18 marzo 2014, n. 6230; 13 dicembre 2010, n. 25145)- ha affermato, con diffusa argomentazione, che anche per il licenziamento del dirigente occorre comunque una giustificatezza, soggettiva o oggettiva, del recesso, pur correlata alla fiduciarietà del rapporto, ad evitare che possa aver seguito una condotta arbitraria, cioè abusiva ed illecita, del datore di lavoro.
Su tali basi, la sentenza ha rilevato che una siffatta giustificatezza era presente, e proporzionatamente, nel recesso in questione (che dunque era non abusivo e non illecito), una volta constatata come testualmente emerge dalla motivazione della lettera di licenziamento e dai conseguenti accertamenti istruttori, in particolare riguardo agli inconciliabili contrasti strategici con il direttore generale dott. Luca SIMONI – la divergenza del RENZI rispetto alla visione strategica dei vertici aziendali e il conseguente progressivo venir meno del rapporto di fiducia> che è “il pilastro fondamentale del rapporto di lavoro dirigenziale” e senza che il recesso abbia assunto a i ritorsivi o discriminatori.
Del resto, evidenzia la sentenza, per espressa previsione dell’art. 3.2 del regolamento della Cassa, al Vice Direttore Generale Vicario spettava “dare la piena applicazione degli indirizzi e tecnico operativi deliberati dal Consiglio di Amministrazione in materia di credito” ed è dimostrato che il RENZI sia arrivato a dismettere la delega alla direzione delle società partecipate, così discostandosi ulteriormente dai Consiglio di Amministrazione.
Ne segue, per la sentenza, il rigetto di tutte le domande del RENZI, incluse quelle al pretesto danno all’immagine professionale, per di più non provato, seppure con compensazione delle spese processuali per la particolarità del caso.
2. L’appello, che insiste sul carattere ritorsivo e discriminatorio e comunque non giustificato del licenziamento, al quale a suo dire andava applicata la procedura disciplinare, sviluppa i seguenti formali motivi:
1) mancato rispetto della procedura disciplinare, errata interpretazione della legge n. 23 del 1977;
2) natura ritorsiva/discriminatoria del licenziamento, errata applicazione degli artt. 7 e 15 della legge n. 23 del 1977;
3) (in subordine) indennità sostitutiva del preavviso, omessa pronuncia;
4) danno previdenziale; 5) danno non patrimoniale, omessa pronuncia.
FINE PARTE SECONDA
