Tutt’altro che facile accostarsi al tema della violenza sulle donne. Banalità, luoghi comuni, ritrosie, tentativi di giustificazione circondano ancora un fenomeno antico e, anche per questo, ancor più difficile da sradicare.
La nostra cultura è tuttora intrisa di sciovinismo maschile, e dunque del germe della violenza. Basti pensare che fino a non molti anni fa, l’uomo che uccideva la moglie, o la fidanzata, “per gelosia” poteva contare sull’attenuante giuridica del “delitto d’onore” grazie alla quale se la poteva cavare con una piccola pena. Una vergogna che affonda le sue radici in un’eredità culturale arcaica, universale e sociale, presente in tutti i paesi e purtroppo ancora attiva: la femmina è di proprietà del maschio.
E quando non la si può domare, la si accusa di stregoneria e la si mette sul rogo. Sembrano tempi remoti rispetto a quel 1486 quando venne dato alle stampe il “Malleus Maleficarum” (Martello delle streghe), in cui vennero raccolti e codificati tutti i peggiori pregiudizi sulla presunta naturale inferiorità del sesso femminile, la sua mancanza di intelligenza e la sua spontanea inclinazione al peccato. Ma oggi non è molto diverso, sono stati aboliti i roghi, ma i patimenti sono gli stessi: Minacciare, Umiliare, Picchiare. Il fenomeno in tre parole. Un fenomeno che oggi chiamiamo: violenza di genere. Che non è solo l’aggressione fisica di un uomo contro una donna, ma include anche vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce, violenze sessuali, persecuzioni. Compiute da un uomo contro una donna in quanto donna. Fino al femminicidio.
Sappiamo che la violenza contro le donne non è monopolio di uomini rudi, incivili, ignoranti, maneschi e anti-sociali. Riguarda pure uomini colti, eleganti, di successo, progressisti e ugualitari.
Ci deve dunque essere un pericoloso grumo di pensieri e sentimenti comune a tutti gli uomini, di qualsiasi provenienza sociale e culturale, che li spinge a rivolgere contro le mogli, le compagne, le fidanzate quel carico di violenza che nel resto delle loro relazioni sociali non si sognerebbero mai di usare. Per punirle in quanto donne. Perché comunque, la colpa è sempre delle donne. Anche la cronaca ci mette del suo: omicidio passionale, raptus, momento di gelosia, quasi a testimoniare il bisogno di dare una giustificazione a qualcosa di mostruoso.
Ovviamente non tutti lo esprimono in modo violento. Ma molti, troppi, sì. Trecentomila anni di evoluzione della specie ci hanno abituato all’egemonia fisica e sociale, e agiscono nel nostro inconscio, dettandoci istinti aggressivi. Un paio di secoli di emancipazione femminile, fenomeno recentissimo nella storia dell’umanità, producono perciò ancora uno shock culturale formidabile sugli uomini. Ciò che è in corso è esattamente una reazione a questo cambiamento epocale degli equilibri di potere. I numeri sembrano proprio confermarlo:
oltre 7 milioni di donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri.
Le donne subiscono anche molte minacce (12,3%). Spesso sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%).”
Ma la portata del fenomeno sta finalmente emergendo, sta conquistando l’attenzione pubblica e il mutato quadro legislativo sta permettendo l’emergere sia di una nuova coscienza femminile, sia la presa di coscienza da parte degli uomini maltrattanti.
La letteratura non individua un profilo standard dell’uomo che agisce con violenza nelle relazioni affettive. Il comportamento violento è trasversale per età e status socio-economico con il 62% degli accessi nella fascia di età 31 – 50 anni. In genere non sono uomini assetati di sangue, ma persone che hanno appreso un linguaggio in cui per un uomo è legittimo e giusto prevaricare sugli altri ed in particolare su donne e bambini. C’è un sottile linguaggio del privilegio maschile, che fa sì che gli uomini pensino di essere legittimati ad essere violenti, senza mai percepire le proprie azioni come violente.
Tutto ciò può essere cambiato. L’idea di fondo, ormai ampiamente condivisa a livello internazionale, è quella di agire in modo che questi comportamenti vengano arginati e ridotti, offrendo agli “uomini maltrattanti” percorsi di recupero con strumenti per cambiare, in modo da evitare l’esacerbarsi della violenza stessa e tutelare le vittime. È un lavoro di grande valenza sociale svolto in Italia da circa 25 centri impegnati su questo fronte. Ogni anno sono circa 300 gli uomini accolti, di diversa estrazione sociale, disposti a iniziare un percorso di riabilitazione.
Non sarà molto, ma è un buon inizio, nonostante il continuo aumento della percentuale di donne che subiscono violenza o tentata violenza, e un sommerso che rimane elevatissimo.
In una relazione sana non esiste la paura dell’altro. L’uomo violento spesso è un uomo che ha paura, un debole, che reagisce in maniera sbagliata ad un disagio psichico.
Per questo, se vogliamo aiutare le donne ad uscire dalla spirale della violenza, aiutiamo anche gli uomini a capire dove stanno sbagliando, perché il primo passo per cambiare la cultura della violenza è riconoscerla e nominarla.
a/f