L’epidemia di covid 19, che al momento si sta attenuando, può riservare ancora brutte sorprese per la sua specificità.
Il virus infatti era sconosciuto al sistema immunitario umano, è altamente contagioso, si è diffuso con enorme rapidità.
C’è Il rischio concreto di nuovi focolai e di eventuale ripresa dell’andamento epidemico in autunno.
Non esistono al momento farmaci specifici e non esiste un vaccino.
A questo proposito, data la grande capacità del virus di modificarsi, è abbastanza irrealistico un vaccino sicuro in tempi brevi.
Su queste premesse è opportuno affermare che la strategia fin qui seguita in molti Paesi ed anche a San Marino va superata e modificata perché si è dimostrata non adeguata.
La Repubblica di San Marino fra l’altro ha un solo ospedale, un numero di frontalieri pari a circa il 15% della popolazione residente totale, un indice di vecchiaia particolarmente alto con quindi moltissimi ultrasessantacinquenni, spesso portatori di polipatologie croniche, un Dipartimento di Prevenzione e Sanità Pubblica impoverito negli anni e frammentato su vari servizi.
Degli errori specifici di gestione dell’epidemia, specie nella prima fase ma non solo, abbiamo già riferito ed al momento non è utile qui ribadirli.
Ora si propone una riflessione su un possibile cambio di strategia.
Gli igienisti ci insegnano che le epidemie –tutte- non si sconfiggono in ospedale ma sul territorio.
L’aver concentrato gli ammalati di covid negli ospedali, li ha trasformati in centri di contagio per gli altri ammalati e per il personale sanitario e li ha poi trasformati in ospedali esclusivi per ammalati covid impedendo cosi ai cittadini affetti da altre patologie anche gravi o gravissime di essere ricoverati. Così ancor di più da noi.
Altro errore dell’attuale strategia è di aver consigliato trattamenti blandi (di solito con tachipirina ) per i sospetti malati covid 19 paucisintomatici, moltiplicando così il numero delle persone che si sono aggravate per le conseguenze indirette del virus che può provocare reazioni immunitarie ed infiammatorie eccessive (tromoembolie, malattia da fosfolipidi, miocarditi, infarti ecc.) vere responsabili degli aggravamenti e delle morti nonostante l’uso delle terapie intensive.
Se oggi non abbiamo ancora armi per combattere direttamente il virus, ne abbiamo invece per combattere l’infiammazione che provoca.
Ci sono dati molto indicativi a proposito sull’uso combinato per una settimana di un farmaco normalmente utilizzato per l’artrite reumatoide (idrossiclorochina) in associazione con un antibiotico di largo uso (azitromicina).
Ma questo trattamento a bassissimo costo (pochi euro) deve essere somministrato il più precocemente possibile. Chi lo assume – come dimostra l’esperienza di Wuhan- di solito non finisce in terapia intensiva.
Quindi andrebbero trattate tutte le persone con sintomi similinfluenzali, comportandosi come se tutti affetti da covid 19.
In questo modo si ridurrebbero drasticamente il numero di casi bisognosi di ospedalizzazione da trattare in maniera intensiva.
Anche per questi ammalati più gravi cominciano ad emergere esperienze interessanti di trattamento con farmaci come l’eparina, come il siero iperimmune ottenuto dal plasma di ammalati guariti che offrono più speranze di guarigione a costi contenuti.
Infine sono allo studio nuovi e più specifici farmaci antivirali.
Il ruolo del medico di base e del personale sanitario sul territorio pertanto dovrebbe divenire fondamentale per combattere l’eventuale recrudescenza dell’epidemia.
Inoltre ed infine il distanziamento sociale, l’uso dei presidi protettivi, la pulizia regolare e la sanificazione di strade, piazze ecc. potrebbero completare questo diverso approccio per evitare il numero impressionante di morti e per riprendere una vita sociale e produttiva molto più vasta e molto più precocemente.
Dario Manzaroli
Repubblica Sm