Tranne RF e il suo giornale di riferimento, che hanno sempre difeso il giudice Buriani, gran parte della politica e dei cittadini sono rimasti “basiti” di fronte alla sentenza Bin. Che di fatto respinge tutte le accuse mosse nei suoi confronti dalla Commissione Giustizia per motivarne la richiesta di sospensione.
È in effetti uno di quei casi in cui il diritto (inteso come norme legislative) ha le sue ragioni, che la ragione non conosce. Per questo proviamo a capirci qualcosa.
Dal punto di vista del diritto, a detta degli esperti, l’atto introduttivo dell’esposto con richiesta disciplinare si presenta piuttosto debole, tant’è che gran parte dei capi d’accusa non vengono neppure accettati e il giudice Bin si trova a giudicare sui quattro che rimangono. Ma c’è una ragione. La Commissione Giustizia procede nel mese di agosto 2020, cioè “prima” che fosse uscita la relazione della Commissione d’inchiesta su banca CIS, che è arrivata a fine ottobre. Quindi ancora molte cose si sanno, ma non c’è la prova provata di certi presunti misfatti, che poi è arrivata dai documenti e dalle testimonianze.
Tutto ciò è dimostrato dal fatto che il materiale della Commissione di inchiesta viene presentato a posteriori, sotto forma di allegato. E qui si innestano alcuni punti oscuri dell’intera vicenda, per i quali ci limiteremo a formulare dei semplici interrogativi.
Primo: perché l’Avvocatura dello Stato non ha rispettato i tempi e le procedure previsti dalla legge per la presentazione degli allegati, ragione per cui non vengono accettati dal Collegio Garante?
Secondo: gli allegati quindi è come non esistessero, ma sono lì, sul tavolo del giudice Bin. Possibile che non li abbia nemmeno visti e questo non lo abbia in qualche maniera aiutato a comprendere più completamente le situazioni?
Terzo: perché la Commissione Giustizia non ha pensato di presentare un altro esposto, questa volta completo? E se lo ha pensato, perché non l’ha fatto?
Ora, tutte le attenzioni sono incentrate sui quattro capi di imputazione, che a tutti erano comunque sembrati piuttosto gravi, soprattutto a carico di un giudice, e che invece un altro giudice ha rigettato. Uno riguarda la formazione dei cosiddetti pool investigativi; il secondo, i rapporti anomali con la stampa per dare informazione su alcuni procedimenti; il terzo, gli incontri con la presidente BCSM Tomasetti sulla nota vicenda Stratos e Luna Logic per la vendita di banca Cis; quarto, il presunto ritardo nel dare applicazioni alle disposizioni dell’allora Magistrato Dirigente sulla distribuzione del lavoro.
Raccontate così, sembrano formulazioni generiche. Nel merito, invece, specialmente l’ultimo punto, cioè il ritardo nelle applicazioni delle disposizioni del Dirigente, avrebbe acconsentito al giudice Buriani di archiviare il fascicolo su Grandoni, che gli era stato appena tolto. La qual cosa si evince dalla sentenza Bin, ma che viene giustificata dal fatto che Buriani, in quel periodo, era “sotto stress”. Difficile, agli occhi delle persone comuni, credere alla giustificazione “sotto stress “di tale archiviazione quando tutti hanno visto la foto del giudice Buriani in viaggio di piacere con Marino Grandoni. Esiste pure l’istituto dell’astensione, qualora un giudice venga chiamato a giudicare un amico. Perché Buriani non vi ha fatto ricorso? Sindrome da onnipotenza? Sindrome da impunità? Tanto poi i suoi amici l’avrebbero buttata sulla politica… come del resto è successo.
Rimane il fatto che, oggi, gli antichi difensori e sostenitori del giudice Buriani, hanno ripreso vela e invocano la ricerca delle responsabilità politiche per coloro che hanno messo sotto inchiesta colui che è sempre stato amico di Grandoni e gli ha fatto da parafulmine in tribunale. Insomma “un eroe”. Il loro eroe.
Tutti gli altri vedono la vicenda, che non è ancora finita, con ben altri occhi.
a/f