San Marino, terra di torri e uffici che sembrano rimasti al tempo dei Malatesta, ha un vizio che strappa un sorriso amaro: sogna il futuro, ma lo fa con la velocità di un piccione viaggiatore in pensione. L’indagine CSU “LOTTO contro violenza, molestie e discriminazioni sul lavoro” – 268 lavoratori, sammarinesi e frontalieri, che si sono messi a nudo – ci ha regalato un lampo di speranza: la formazione è la chiave per fare dei luoghi di lavoro qualcosa di più di un campo minato. Ma, attenzione, non lasciatevi abbagliare da numeri sparati come petardi: quei 268 eroi selezionati – presumo a caso – non sono un campione prestratificato essenziale in ogni sondaggio e rappresentano l’1% scarso di una forza lavoro di 25.001 anime, come ci dice l’ultimo bollettino del Titano. Un’indagine “autorevole”? Più che altro un sondaggio da bar, con la stessa credibilità di un oroscopo scritto sul retro di un tovagliolo.

I dati veri, quelli che contano, parlano di un San Marino che lavora sodo: 25.001 persone, con 8.228 frontalieri – cresciuti del 4,5% in un anno – che ogni giorno salgono il Monte per dare il loro contributo, e 663 disoccupati che sperano in un’occasione. È un mosaico vivo, fatto di sammarinesi e “ospiti” che tengono in piedi la baracca. E tutti, ma proprio tutti, secondo la CSU, vogliono formazione: un 4.4 su 5, pubblico, privato, persino i disoccupati, che urlano “fateci crescere!” come se fosse un referendum. Non si parla di passare pomeriggi a sbadigliare in aula, ma di corsi che insegnano a costruire un ambiente dove nessuno deve guardarsi le spalle – né per i “palpeggiatori da scrivania” di quel 60% da thriller hollywoodiano (grazie, RTV, per il capolavoro – leggi qui: San Marino? Terra di maniaci sessuali e palpeggiatori… Lo dice il Sindacato, lo conferma la Tv di Stato!) né per un commento che ti fa sentire un pesce fuor d’acqua.
Perché la formazione non è un capriccio da sindacalisti in cerca di riflettori, è un investimento con la I maiuscola. La CSU ci dice che dove esiste un regolamento contro molestie e discriminazioni, la percezione di sicurezza sale a 3.39 su 5, contro il 2.54 di chi non ce l’ha. Ma le regole sono carta straccia se nessuno le conosce… E qui casca l’asino, con un 3.23 per chi “non sa” se il regolamento esiste, probabilmente perché è sepolto sotto una pila di scartoffie. Corsi seri possono cambiare le carte in tavola: insegnano a usare quei regolamenti, a parlare chiaro, a creare un clima dove ogni lavoratore, da Dogana a Cattolica, si sente parte della squadra. E magari danno una mano alle aziende virtuose – che ci sono, non diciamolo sottovoce – a non essere soffocate da chi – al di là dei numeri snocciolati, più da thriller sessualdrammatico che non da società sammarinese – pensa che “un complimento in più” sia folclore e la formazione una perdita di tempo.
Ma non è solo una questione di buone maniere. Una San Marino che forma i suoi lavoratori – tutti, sammarinesi e frontalieri – è una San Marino che decolla. Corsi su sicurezza e rispetto non solo riducono i rischi, ma fanno brillare il Titano agli occhi di aziende moderne, che vogliono uffici dove si produce, non si litiga e non si “sfiora”. Possono convincere i frontalieri che San Marino non è solo un posto dove timbrare il cartellino, ma un modello da esportare. E per i 663 disoccupati, un corso è un biglietto per rientrare in gioco, non un diploma da incorniciare.
Così si può “accendere” un circolo virtuoso: più formazione, più rispetto, più futuro.
Eppure, la sensibilità aziendale langue a un misero 2.9 su 5: troppi datori di lavoro trattano questi temi come un fastidio, un po’ come chi lascia un “torno subito” scritto a penna e sparisce fino a sera.
Il futuro è lì, a portata di mano. Servono corsi obbligatori in ogni azienda – o, meglio, seri incentivi a farli – non chiacchiere da bar. Servono regolamenti chiari, non fogli dimenticati in un cassetto. E serve uno Stato che dimostri di sapere e dica: “Sammarinesi e frontalieri, siete il nostro motore”. La CSU ha provato ad accendere un faro, ma con quel campioncino “casuale” di 268 risposte su 25.001 lavoratori, sembra più una candelina che una torcia. Ora tocca a aziende, sindacati e Governo smettere di giocare a nascondino. Altrimenti, sul Titano si continuerà a regolare gli orologi su un tempo che non appartiene più; mentre altrove si forgiano competenze, in Repubblica si spolverano nostalgie. San Marino può diventare un luogo dove lavorare è motivo d’orgoglio per tutti, ma non se si resta fermi a fissare la clessidra sperando che la sabbia risalga
Enrico Lazzari