Facciamo un salto indietro di mezzo secolo. È il 1 luglio 1974: in Consiglio arriva in prima lettura un pdl intitolato “Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi fondamentali dell’ordinamento sammarinese”. Siamo nell’ottava legislatura, quel pdl era stato promosso dal “Movimento per le Libertà Statutarie”, 263 voti ottenuti nelle elezioni del 1969, un seggio in Consiglio Grande e Generale. Oggi non sarebbe neanche entrato. La DC, all’epoca, aveva oltre il 44 per cento dei consensi. Renzo Bonelli, rappresentante di MLS, in quel momento Deputato alla Giustizia, porta in Consiglio la legge. L’8 luglio, una settimana dopo, viene approvata in seconda lettura con 31 voti a favore, 26 contrari. Quel testo approvato in una settimana, 16 articoli in tutto, diviene uno dei capisaldi dell’ordinamento democratico sammarinese perché da lì comincia un lungo processo di riconoscimento dei diritti civili.
Pensiamo solo un momento se quella legge fosse arrivata in Consiglio ai tempi nostri: i 16 articoli avrebbero avuto un corredo di almeno 2000 emendamenti, il dibattito sarebbe andato avanti per mesi e mesi, fino ad arrivare allo stravolgimento completo dei principi ispiratori. Sarebbe solo immaginazione, o deterioramento della politica?
Una volta non c’erano i tempi contingentati, il Consiglio durava al massimo 2 giorni e la produzione legislativa non era certamente carente. Non c’erano le commissioni parlamentari, istituite per trasferire il dibattito in una sede complementare e limitare i tempi di approvazione di una legge. Invece, il dibattito oggi si fa in prima lettura, in seconda lettura e in commissione. Non si finisce mai.
Negli organismi internazionali, il tempo di intervento è 2 due minuti. Qui ce ne sono 15, in certi casi anche 30, ma non si possono diminuire perché ne andrebbe delle garanzie democratiche. Parola di Marco Gatti. Vuol dire che a Strasburgo vige la dittatura? Eppure ormai siamo abituati alle pubblicità che in 30 secondi raccontano una storia, ai tweet che possono contenere fino a 280 caratteri: quante cose si possono dire in 15 minuti? Tante. Forse troppe, visto che la maggior parte sono solo ripetizioni e reiterazione delle ripetizioni, anche di cose dette da altri. Solo per occupare il tempo. Nelle sedi internazionali, se un parlamentare affronta un argomento già illustrato, il presidente lo ferma subito: “Già detto. Avanti il prossimo”.
A San Marino vige un Regolamento consiliare enciclopedico. Per scriverlo ci sono voluti oltre 10 anni di confronto. Basterebbero 20 pagine per fare andare meglio le cose, visto che ci sono voluti ben 8 giorni per votare la legge di variazione di bilancio. Il che fa emergere che il Regolamento è ingestibile, ma soprattutto che la classe politica manca di autorevolezza perché nessuno (o quasi) rispetta la parola data e così la controparte ricambia con i mezzi che ha. Peggio sono quelli che cominciano con: “Sarò breve”. Di solito sono i più prolissi. Oppure: “Vado alle conclusioni”. Che però non arrivano mai.
Una bella mano di pulizia ci sarebbe bisogno anche per i testi di legge, che sono assolutamente illeggibili, farraginosi, confusionari, contradditori rispetto a leggi precedenti, talvolta inapplicabili per via della sovrapposizione di decreti, sempre più ampollosi e ridondanti. Ma c’è una spiegazione anche per questo fenomeno perché più i testi sono confusionari, più i furbetti possono fare il proprio comodo. Tanto, i mille organismi di controllo che vengono previsti, divisi tra uffici che non dialogano tra loro, non producono effetti. Anche quando controllano, non possono intervenire, perché spetta a qualcun altro.
Ma in questo marasma dove il clientelismo e il particolarismo imperano, ci mettiamo dentro anche la PA, sempre più affogata nella burocrazia (quasi sempre inutile) e in tentativi di digitalizzazione dei servizi, per accedere ai quali ci vuole una laurea in informatica. A volte è peggio che entrare alla Nasa. Basta vedere cosa ci vuole per attivare una firma digitale: bisogna leggere almeno 20 pagine di spiegazioni e produrre una marea di documenti. Eppure, tutti i dati di ogni cittadino sono già dentro al sistema pubblico. Invece, procedure facili come la richiesta di una ricetta ordinaria, che si può fare senza andare dal medico e poi ritirare il farmaco direttamente in farmacia, sono rimaste un esempio unico.
La nostra politica e la PA, entrambe specialiste nella complicazione degli affari semplici, si troveranno ben presto a dover dialogare con l’Europa, e allora rimane solo l’augurio espresso nel titolo di un film famosissimo: io speriamo che me la cavo!
Angela Venturini