San Marino. E’ possibile morire bevendo acido muriatico nell’indifferenza collettiva? – “Qui gatto… ci cova” la rubrica di David Oddone

Tre anni di Covid ci hanno tolto evidentemente la voglia di incazzarci per le cose serie.

L’assuefazione alla sospensione della democrazia ha avuto effetti deleteri sulla popolazione che spesso e volentieri accetta ormai passivamente tutto quello che accade, quasi fosse inevitabile.

Mi aspettavo che i lutti, le sofferenze fisiche ed economiche, dalle quali tutti siamo passati, avessero fatto da collante alla comunità mondiale.

Invece addirittura ci troviamo con una guerra in Europa.

Una guerra dove è molto chiaro chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, ma che vede anche responsabilità enormi in capo a chi non sta cercando la pace, ma solo i propri interessi politici e di bilancio.

Il tutto sulla pelle della gente, che muore sotto il peso delle bombe o quello delle tasse.

Assistiamo così praticamente nel silenzio all’aumento indiscriminato del costo di generi alimentari, bollette e carburanti.

Penso che se tutto ciò fosse accaduto anni fa, ci sarebbero state proteste veementi: le stesse opposizioni in parlamento, o presunte tali – mi riferisco in questo caso all’Italia –, non si stanno stracciando le vesti. Stesso discorso per i sindacati.

All’interno di questa drammatica situazione si inserisce prepotentemente un episodio accaduto solo a qualche chilometro da San Marino.

Un imprenditore, non più capace di sopportare l’aumento dei costi, si è trovato costretto a chiudere la propria azienda.

Non ha retto all’angoscia e qualcosa dentro di lui si è rotto.

Ha così deciso di farla finita bevendo acido muriatico.

Credo che difficilmente si possa comprendere quello che ha vissuto, il dolore mentale e fisico.

Io ci ho provato e mi sono sentito perso. Ho avvertito un groppo alla gola, ho pensato ai miei figli e alla sua famiglia.

Il tutto è stato reso ancora più drammatico, se possibile, dal fatto che la vittima in un momento di lucidità ha chiesto soccorso, telefonando al 118. E’ morto poco dopo in ospedale.

Ho un tarlo in testa. Su cosa avrà rimuginato in quegli interminabili minuti?

Dove sarà volato il suo pensiero, se un attimo prima voleva sparire da questo iniquo mondo, mentre poi ha deciso che forse, valeva ancora la pena combattere?

Sicuramente ci sarà stato un ricordo, un lampo, un istante della sua vita che gli è balenato in mente ed al quale si è aggrappato per riemergere dall’abisso.

Un titolo di giornale, poi nulla più. L’indifferenza.

Non ci sono state associazioni pronte a puntare il dito.

Niente sollevazioni popolari, proteste, manifestazioni, indignazione, rabbia, voglia di giustizia.

La lezione che ho tratto è che siamo troppo concentrati sul generale e non ci occupiamo più del particolare, dei bisogni del singolo.

Ragioniamo all’unisono, eppure paradossalmente il Covid invece di unirci ci ha diviso, ci ha spersonalizzato.

Una contraddizione che ci rende tutti uguali dietro a quelle mascherine, facendoci perdere la nostra individualità.

Andiamo dietro senza alcun senso critico a chi ci indica con assoluta certezza le battaglie da combattere e le cose che contano.

Il ritorno alla normalità, semmai ci sarà, dovrà allora per forza di cose coincidere con una riscoperta di noi stessi e dei valori, primo fra tutti quello di comunità.

Ma tale senso di comunità non può prescindere dal rispetto e la valorizzazione degli individui.

Non è retorica: ho il fondato timore che ci stiamo incamminando su un sentiero pericolosissimo, verso un mondo orwelliano.

Forse non succederà fra un anno, né fra dieci.

Ma esiste un virus più pericoloso del Covid: la libertà si perde un pezzetto per volta e, come abbiamo visto studiando la storia, persino fra gli applausi e con il placet della maggioranza.

David Oddone

Rubrica “Qui gatto… ci cova”