San Marino. E se invece di tante inutili crociate, si pensasse ad una moratoria politica? … di Alberto Forcellini

Shopping a singhiozzo, la cenetta invece del cenone, veglioni vietati e niente vacanze sulla neve o in crociera ai tropici. Un anno difficile, finito tra sacrifici e polemiche. Il 2020 è stato, da marzo in poi, semplicemente, drammaticamente l’anno della pandemia di Covid-19, un anno terribile e straordinario, non ordinario. La pandemia ha generato tre terribili effetti negativi sulla vita della nostra comunità: la perdita di molte vite umane, la parziale paralisi della vita economica, la perdita di vita sociale e formativa, particolarmente dura per i giovani in età scolastica, in anni così importanti per la loro formazione e crescita. Se la perdita formativa è forse recuperabile, il tempo di vita sociale perduto non tornerà più.

Proprio per queste “disgrazie”, che non ci siamo cercati e che non avremmo assolutamente voluto, il 2020 è stato un anno che ci ha insegnato tantissimo, molto di più di tanti anni “ordinari” messi in fila. È come se il corpo sociale ed economico fosse stato sottoposto a una grave operazione e, nel frattempo, con una serie di anestetici e antidolorifici, siamo riusciti, evitando il peggio, a farlo sopravvivere (pur rallentando le sue funzioni vitali) con aiuti alle imprese e alle famiglie, con la cassa integrazione, con politiche finanziarie che hanno cercato risorse laddove mancava tutto. Se è stato un problema realizzare quest’obiettivo, anche perché l’opposizione non si è mai risparmiata di soffiare sul fuoco dello scontento (talvolta spalleggiata anche dal sindacato) sarà un problema anche il delicato passaggio del ritorno alla vita normale, dove la graduale sospensione delle misure di emergenza dovrà favorire e non pregiudicare il ripristino delle piene funzioni vitali. Avremo il vantaggio della spinta poderosa del desiderio di lasciarci alle spalle questo periodo (l’abbiamo in parte già visto quest’estate) ma dovremo fare attenzione a trovare modalità più resilienti di attività economica per ridurre la nostra fragilità a possibili choc futuri.

Nel rapporto tra persone come in quello tra Stati la pandemia ci ha insegnato che di fronte a pericoli e rischi globali ci vuole molta più cooperazione, ci ha suggerito che la solidarietà e il gioco di squadra rappresentano una forma di razionalità superiore rispetto sia al laissez faire, sia alla critica meramente strumentale.

Se tutto questo è vero, che senso ha continuare a dare battaglia su ogni decisione del governo, su ogni decreto, sulle affermazioni di questo o quello? Ci possono essere altri modi per incidere nella vita politica, senza usare quei linguaggi apocalittici che provocano confusione e, a lungo andare, stancano anche il cittadino più disilluso. Così facendo, Nicola Renzi ha perso quell’appeal che sembrava avere nel momento del passaggio all’opposizione. Altrettanto il suo collega Andrea Zafferani. Entrambi sempre in cattedra a stigmatizzare con veemenza anche le virgole, ma senza risultati. Se lo sono chiesti il perché? Non è solo questione di numeri: forse è una questione di contenuti o di una sovraesposizione mediatica, che alla fine si risolve in danno più che in utilità.

Anche il loro collega Matteo Ciacci, che ad ogni piè sospinto pretende di riaprire un tavolo istituzionale, che istituzionale non è mai stato, ma che è stato un semplice palliativo per superare una grave impasse politica, appena un anno fa. È vero che deve essere dura passare dalla maggioranza all’opposizione; dal voglio, posso, comando, al dover rimanere nelle retrovie. Ma la politica è una ruota che gira…

Se fosse stato un anno normale, probabilmente, l’opposizione urlata avrebbe avuto un suo senso. Ma non in un periodo così straordinariamente non ordinario come quello disegnato dalla pandemia, quando logica e senso dello Stato avrebbero voluto una sorta di moratoria politica per cercare di dare insieme la miglior soluzione possibile ai problemi. Quando c’è un governo che governa e se ne assume le responsabilità (pur con tutte le sue pecche), è davvero insensato, se non assurdo, pretendere la riapertura del tavolo istituzionale, o scandalizzarsi perché manca il confronto se tutti i giorni cerchi di fargli lo sgambetto. Una moratoria politica, al contrario, potrebbe essere lo strumento più opportuno per costruire quelle riforme che non sono mai state fatte e che tutti attendono.

Del resto, la politica urlata ha rivelato in ciascuno dei passaggi difficili di questo anno appena passato, tutta la sua inutilità e inconsistenza. Un solo esempio, la crociata contro la riorganizzazione del tribunale e la preservazione di certi privilegi ad alcuni giudici, che ha creato imbarazzo anche all’estero:  si doveva rispondere a qualcuno che non era lo Stato? C’era qualcuno che stava rischiando grosso? Perché è stata fatta tramontare all’improvviso? Domande che probabilmente rimarranno senza risposta, finché non la fornirà la storia dei prossimi anni.

Per il momento c’è ben altro a cui pensare: evitare la terza ondata, mentre il contagio continua a tessere la sua tela; prepararsi alla campagna vaccinale; individuare il percorso migliore per la possibile ripresa e uscire dalla crisi. Perché come ha detto più volte Francesco, da una crisi non si esce mai uguali. Sta a noi uscirne migliori.

Siamo ancora in tempo per un brindisi. E allora brindiamo alla salute. Che non è così scontata.

a/f