Sono arrivate le motivazioni della sentenza dello scorso novembre con la quale il Giudice Vitaliano Esposito, accogliendo il ricorso della difesa, ha rimesso Achille Lia nei termini per proporre Appello, revocando al contempo il mandato d’arresto emesso nel 2015 a seguito della condanna per “mancato furto aggravato dalla destrezza”, commesso nel 2013 dall’imputato. La vicenda del 50enne calabrese era balzata agli onori – si fa per dire – delle cronache a seguito della sua evasione dal carcere dei Cappuccini. Dopo l’arresto a Forlì, e un periodo di detenzione, gli era stato concesso l’obbligo di dimora mentre i suoi legali si opponevano alla richiesta di estradizione. Davanti al Giudice per i Rimedi Straordinari l’avvocato Rossano Fabbri del foro sammarinese ha argomentato come il suo assistito fu giudicato in contumacia e non venne mai informato del decreto di rinvio a giudizio, e non poté neppure ricorrere in Appello. Con una sostanziale violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tesi questa accolta dal dott. Esposito. Ma al di là della decisione sul caso specifico, sono i paletti fissati che rendono questa sentenza – ancora una volta – rivoluzionaria per San Marino, conducendo il Paese finalmente verso una dimensione europea e di parità fra le grandi democrazie. Innanzitutto il Giudice Esposito spiega il senso, l’utilità, la funzione, l’importanza della cosiddetta terza istanza:
“La giurisprudenza di questo Giudice per i rimedi straordinari in materia penale, sin dalla sua sentenza n. 1 del 2017, si è evoluta nel senso di valorizzare la portata del giudizio di revisione, estendendolo oltre i casi tassativamente indicati nell’articolo 200 del codice di rito e, soprattutto, ritenendolo appropriato, sotto il profilo della sussistenza di una ingiustizia sostanziale, anche nei casi in cui vi sia stata una grave violazione dei diritti della persona riconosciuti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ad opera di un provvedimento giudiziario anche diverso da una sentenza di condanna, quando, non sussistendo nell’ordinamento altri rimedi in grado di eliminare la lesione, lo Stato viene esposto al rischio di una sicura condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo anche per violazione degli articoli 13 e 35 della Convenzione, che come è noto, sanciscono il carattere sussidiario della protezione sovranazionale”.
In sostanza si esplica nuovamente il fatto che prima di rivolgersi a Strasburgo, esiste un terzo giudizio – dopo l’Appello – al quale potersi rivolgere. Particolarmente interessante è quanto si legge ancora in sentenza, dove da un lato si sottolinea come il Giudice per i rimedi straordinari non solo possa, ma abbia persino l’obbligo di intervenire nei casi di violazione dei diritti umani; dall’altro alla luce dei poteri che gli vengono concessi, tale Giudice deve utilizzare lo strumento ritenuto più idoneo per riparare alla violazione:
“Va opportunamente ribadito che se certamente questo Giudice ha l’obbligo in una situazione di sostanziale ingiustizia non tollerabile nell’ordinamento di questa Serenissima Repubblica di impedire il protrarsi della violazione e deve adottare la misura a tal fine adeguata, è del pari indubitabile che ciò deve fare nel rispetto dei poteri che a lui sono riconosciuti dalla disposizione convenzionale, e che si sostanziano in quello di accordare una adeguata riparazione al diritto che si assume violato (sentenza Kudla, cit. § 157)”.
Nel caso specifico la violazione sta appunto nel fatto che ad Achille Lia non sia mai stato notificato il procedimento a suo carico tanto che gli è stata preclusa la possibilità di proporre Appello. Da tutte queste premesse ne discende che per sanare la violazione si deve “necessariamente (…) rimettere
il ricorrente nei termini per proporre appello avverso la sentenza del Commissario della Legge del 5 dicembre 2014, n. 256”. Da qui la decisione di annullare la condanna definitiva e riaprire il processo.
Appare evidente come tale pronuncia rappresenti un balzo in avanti sulla strada della civiltà giuridica e porti il Titano ad essere un esempio virtuoso a livello europeo, tale forse che persino la vicina Italia dovrebbe prendere appunti. Non può essere infatti tollerato in una democrazia che qualcuno possa essere “giudicato se non abbia effettivamente ricevuto una citazione in tempo utile per permettergli di comparire e di preparare la sua difesa” e “(…) sempre fuor dell’ipotesi dell’accertata volontaria sottrazione alla giustizia” quanto avviene a carico dell’imputato “deve essere notificato secondo le regole della citazione ed i termini del ricorso devono correre dal momento in cui il condannato ha avuto conoscenza effettiva del giudicato a lui notificato”.
Questi concetti dovrebbero essere “banali” in una giurisprudenza rispettosa dei diritti umani ed all’avanguardia, ma così non era fino all’avvento delle ultime storiche decisioni del dott. Esposito in materia. Quest’ultima decisione dunque finirà certamente negli annali del diritto rappresentando un precedente virtuoso del quale tutte le parti in causa dovranno tenere conto.
Repubblica Sm