Nel momento in cui l’Occidente si appresta ad uscire dall’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia da Covid-19 avviandosi verso una ripresa economica che, sulla carta, sembra promettente, si ha la sensazione che il 2020 sia stato uno spartiacque epocale per lo scenario economico e geopolitico internazionale. È difficile credere che il futuro ci riservi il ritorno al “business as usual”: le nostre vite sono andate incontro a profondi cambiamenti, così come i processi produttivi e le relazioni internazionali. A profilarsi è ormai un vero e proprio “nuovo mondo”.
Come dovrà essere questo “nuovo mondo” l’hanno in qualche modo indicato i giovani dei Fridays for Future, individuando nei cambiamenti climatici l’urgenza di riconvertire l’economia e di modificare i costumi di vita. In altre parole, la necessità di andare verso la transizione digitale e quella ecologica per consumare meno ambiente.
In parallelo, da alcuni anni era già in corso una ridistribuzione del potere economico globale, con la Cina (e i Paesi asiatici ad essa legati economicamente a doppio filo) protagonista di una crescita apparentemente inarrestabile in grado di mettere in discussione la leadership degli Stati Uniti. In questo quadro, l’Europa perdeva terreno a causa di un’economia stagnante e di un insopportabile immobilismo politico-istituzionale.
La pandemia è entrata con forza dirompente in questi trend, accelerandoli da un lato, ma rendendo anche improcrastinabile una risposta politica, in conseguenza dell’aumento dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali, iniziato dagli ultimi mesi del 2020 e ancora in continua ascesa. L’impennata della quotazione del gas si è rapidamente trasferita sul prezzo dell’energia elettrica, facendo lievitare i costi energetici delle imprese industriali e quelli delle famiglie.
Ormai è assodato che gli interventi di contrasto ad un’economia basata sul metano e su petrolio possono avere efficacia solo nel medio e lungo termine. Questo sarebbe molto importante perché significa agire a monte, cioè nella ricerca e sviluppo delle fonti alternative, delle energie rinnovabili e della transizione ecologica. Ma è importante anche agire su interventi immediati, per non rischiare la recessione.
Abbiamo già detto molte volte che San Marino, vista la sua entità, non ha il potere di agire sulle dinamiche di formazione dei prezzi e non può fare altro che subire il rialzo impressionante della benzina; gli aumenti di pane, pasta, caffè, eccetera, eccetera; nonché i prossimi aumenti delle bollette. Che saranno assai contenuti rispetto a quanto succede fuori confine, dove praticamente sono raddoppiati già dallo scorso autunno. L’intento di calmierare i prezzi potrebbe essere un segnale positivo da parte del governo, ma non risolverà il problema.
In ogni caso, i sammarinesi hanno cominciato a comportarsi di conseguenza. È praticamente crollato il mercato delle auto a metano (che ormai costa addirittura più della benzina), poche oscillazioni per i mezzi a benzina e a diesel, mentre si è registrato un grosso aumento di autoveicoli elettrici e ibridi: nel 2020 ne sono stati immatricolati 242, nel 2021 sono passati a 407 (dati UPECEDES).
La raccolta delle banche è a livelli pre-pandemia. Un segno positivo indubbiamente, ma vuol dire anche che i cittadini, in tempi di incertezza come quelli attuali, preferiscono il risparmio alle spese e questo genera una contrazione dei consumi. Sul fronte delle scelte politiche, il governo si è attivato sul fronte delle forniture pubbliche e private, specialmente sul fronte della produzione energetica per aumentare i livelli di autonomia del nostro Paese.
Una spinta molto forte in questo senso potrebbe venire dal fotovoltaico, sul quale per altro le sensibilità sono davvero molto alte anche da parte dei cittadini. Negli ultimi dieci anni la produzione di energia da fotovoltaico è cresciuta costantemente, passando dai 1.217 kWh del 2010 (con una potenza di soli 24 kWp) ai 14.187.965 kWh del 2021 (con una potenza di ben 13.562 kWp). Si sono ipotizzati investimenti anche fuori territorio, in impianti di produzione energetica che per dimensioni sarebbero impensabili a San Marino. Oggi la tecnologia permette di fare anche questo.
Molto importante è anche il progetto “San Marino bio” che dovrà comprendere tutta la superficie agricola, quindi abbracciando oltre a grano e foraggi, anche vigneti e uliveti, nonché verde pubblico e alveari. Rimane un settore ancora assai carente, quello dei rifiuti solidi urbani, da cui deriva il problema delle discariche e dei costi di smaltimento. Risolvere il problema dei rifiuti vuol dire risparmiare energia e materie prime, ma vuol dire anche realizzare un consistente risparmio.
Attivare tutti questi interventi nel più breve tempo possibile, significa che la ripresa potrebbe essere non solo più rapida, ma anche più duratura del previsto.
a/f