Pur vivendo in un sistema di disinformazione programmata, arriva qualche spiffero e si viene a sapere che il governo intende varare un provvedimento-spot nel settore fiscale. Un provvedimento per fare cassa, non si sa per quale importo, nel momento in cui è accertato che le retribuzioni e le pensioni hanno già perso dal 12% al 15% del loro potere d’acquisto.
Viene contrabbandato come riforma tributaria quando in realtà è solo un inutile e ingiusto “ritocchino” alla vera riforma epocale del 1984, poi devastata da una lunga pletora di interventi clientelari, e snaturata da una applicazione populista senza controlli e verifiche, mirata a evitare le imposte per la clientela politica.
Il provvedimento-spot non ha alcun coordinamento in quanto non esiste una politica economico-finanziaria, manca qualsiasi accenno di programmazione, il debito pubblico è fuori controllo, il Bilancio dello Stato è falso.
L’iniziativa del governo è un tentativo subdolo di evitare una reale riforma tributaria attraverso un testo unico che cancelli la selva di normative clientelari e contraddittorie, che ripristini lo strumento di politica economica nella sua peculiare funzione, che garantisca chiarezza applicativa, che deleghi il Consiglio a varare una completa riorganizzazione dell’Ufficio Tributario.
Rientra nei classici canoni democratici un preliminare dibattito in Consiglio per arrivare ad un documento condiviso di indirizzo, che contenga gli obiettivi da raggiungere entro 6 mesi. Ma il governo autoreferenziale preferisce imporre una non riforma.